mercoledì 13 ottobre 2010

Tarantismi premeditati. Fra identità inventate e (in)coscienza d’essere




Tarantismi premeditati
Fra identità inventate e (in)coscienza d’essere
Una rivoluzione scientifica
si attua quando si trasforma
una tautologia in una teoria scientifica
o, viceversa, quando si riduce
una teoria scientifica ad una tautologia
(T. Kuhn, fisico)


È nel corso del Novecento che si sviluppa quella canzone dialettale nel contempo original, perché nuova, e originator, perché crea una tradizione, segno distintivo di una società che cambia e si adatta a nuovi ritmi.
Fino ad oggi è stato dato molto spazio al tarantismo ed alla sua musica (quindi al fenomeno, clinico o di costume, ed alla sua espressione sonora, raramente è accaduto viceversa); l’approccio a questi lavori non è quasi mai storico.
Il Salento in questo senso viene inteso come terra di margine, destinato a rimanere tale agli occhi dell’estraneo. Se questo può andar bene per una ricerca antropologica o sociologica, per ciò che riguarda gli aspetti storici, tale approccio rischia di creare dei falsi che, col tempo, passano per scontati e quindi non necessari di verifica.
Un esempio abbastanza chiaro di come uno studio autorevole possa poi creare un quadro storico non vero riguarda il presunto legame diretto fra tarantismo e hip hop-reggae: Georges Lapassade (1924-2008) e Piero Fumarola furono male interpretati (o interpretati con pigrizia), tanto che lo stesso Lapassade, in una intervista rilasciata a Nicoletta Poidimani (dal titolo Un incontro con Georges Lapassade. Neotenia - neoetnia tratta dalla rivista “La Balena Bianca - I fantasmi della società contemporanea”, Anno III, N. 6, gennaio 1993, pp. 47-61), specificatamente sul “ballo giamaicano della taranta” dichiara:“Sì. Ma prima di tutto devo dirti che abbiamo molto discusso questo argomento quest’estate anche con Papa Ricky e con quelli del Sud Sound System. Per esempio Papa Gianni, che è un contadino, diceva che loro non hanno questa cultura contadina e che i genitori forse conoscono questi ragni... ma che le sue canzoni sono sul disagio dei giovani di oggi, della modernità, forse della metropoli... Un discorso contrario al nostro che credevamo di avere sistematizzato lo loro condizione, le loro pratiche nella definizione di tarantamuffin. E loro hanno detto che questo collegamento con il tarantismo, con la ‘pizzica pizzica’, la tarantella, la musica locale, la terapia della tarantata, era inventata”.
L’errore dell’unione diretta fra hh e pizzica, ammissibile e giustificabile fino a qualche anno addietro, scaturito dalla lettura poco attenta di quanto scritto da Fumarola e Lapassade, ha coinvolto un po’ tutti, se è vero che anche altri operatori culturali ribadiscono “come il fenomeno della musica popolare in Salento abbia attraversato momenti bui, in quanto a livello collettivo si sentiva un bisogno di rimozione di vissuti passati, quasi esprimendo un rifiuto degli stessi”, esponendo “una personale teoria circa il riaffiorare di gruppi musicali di pizzica, facendo partire il tutto dalla nascita dell’hip hop salentino e da quel favoloso fenomeno che sono stati i Sud Sound System, i primi a coniugare musica moderna e dialetto” (Vincenzo Santoro, fra l’altro autore, nel 2009, di una bella storia del neotarantismo, in Anna Nacci, Neotarantismo, Viterbo 2004, pag. 48).
Ora, il fatto che negli anni passati ci sia stato un rifiuto verso la canzone locale è incontestabile, tale avversione, tuttavia mai concretizzatasi a livello collettivo, è stata relegata ad una classe intellettuale che riteneva la musica dialettale una forma di espressione provinciale.
Questo rifiuto è fra l’altro confermato da Sergio Torsello, intellettuale salentino noto soprattutto per essere direttore artistico della Notte della Taranta, quando rileva che “L’apparizione de La terra del rimorso, è bene tenere conto, passa pressoché inosservata al mondo intellettuale locale. Bisognerà aspettare gli anni del folk revival (che nel Salento trova il suo statuto fondativo con il celebre disco del Canzoniere Grecanico Salentino del 1976), perché i temi della musica e della cultura popolare (e quindi anche il tarantismo) siano immessi lentamente nel circuito del dibattito locale” (Gabriele Mina - Sergio Torsello, La tela infinita. Bibliografia degli studi sul tarantismo mediterraneo 1945-2004, Nardò 2005, pag. 16).
Fatto altrettanto contestabile è relativo al fatto che sia stato il Sud Sound System a coniugare, per primo, musica contemporanea e dialetto. L’aveva già fatto Tito Schipa e, in tempi più recenti, Gino Ingrosso col suo Gruppo Liscio del Salento. 
Antropologicamente pensando, credo che in quelle tante manifestazioni (festival, biblioteche, pubblicazioni pagate alla fonte) che hanno per main theme il tarantismo, si può veder riaffiorare quel rimorso di demartiniana memoria che oggi, facendosi al contempo necessità politica, attanaglia le classi dirigenti locali e trova la sua finalità nella costruzione a tavolino -ed a suon di euro-, di una identità fino a qualche anno addietro rinnegata: quella salentina.
Si ha però una drastica, e drammatica, inversione di ruoli: un tempo erano i tarantati, perloppiù appartenenti a classi sociali subalterne, a doversi liberare dal morso del ragno, a schivarlo per quanto possibile, mentre oggi, svaniti i protagonisti principali di un fenomeno anch’esso scomparso, sono le classi dirigenti a voler reinventare  ciò che avevano lasciato volutamente in disparte e, in maniera pomposa, vogliono esser morsi dal ragno. Se il ragno non c’è si inventa.
Tralasciando il lato festivaliero della questione che per quanto mi riguarda trova la sua fine lì dove comincia, fa un po’ sorridere il fatto che tutta la cultura di Terra d’Otranto debba ruotare, a forza, attorno alle musiche di tradizione orale e al tarantismo. Ecco dunque la creazione di appositi spazi dedicati unicamente allo studio di tali fenomeni. La domanda, come direbbe Lubrano, sorge spontanea:cosa rappresentano per la cultura di Terra d’Otranto, ad esempio, la “Biblioteca sul tarantismo” di Melpignano e l’“Archivio Sonoro della Puglia” con sede a Bari?
Nel primo caso si è voluto circoscrivere il tutto ad un fenomeno, il tarantismo, del quale tanto si è parlato in questi ultimi anni e che ha partorito non solo studi autorevoli ma anche ricerche fantasiose, talvolta supportate anche con i fondi degli enti pubblici e dell’accademia (quindi presi dalle tasche dei cittadini).
L’“Archivio Sonoro della Puglia” si propone, invece, come “una straordinaria raccolta di materiali sonori, fotografici e audiovisivi di fondamentale importanza per le musiche tradizionali della Puglia”, come proclamato su Internet.
Paradossalmente tale straordinario archivio è stato pensato in maniera piuttosto ordinaria, nel senso che, per la parte relativa al Salento, non si va oltre la musica della campagna, escludendo tutte quelle altre manifestazioni, nate all’inizio del secolo scorso a Lecce e diffusesi in provincia negli anni Sessanta e Settanta, divenute, a tutti gli effetti, tradizionali e popolari.
Il fatto più grave è che tutto ciò che concerne la tradizione, risponde molto spesso a logiche di ricerca di parte: è necessario che l’oggetto da analizzare possa in qualche modo essere funzionale alla descrizione di un territorio da “cartolina”, capace di attrarre il turista, oltre che i fondi pubblici, anche a costo di inventare.
Ecco un esempio: nel Catalogo della Notte della Taranta edizione 2006 (sponsorizzato da Regione Puglia, Provincia di Lecce, Grecìa Salentina, Istituto Diego Carpitella e patrocinato dal Ministro per le Politiche Giovanili, in collaborazione con Camera di Commercio di Lecce e Fondazione Musica per Roma), vi è il testo del brano Quannu te llai la faccia, una serenata tratta, si legge a pagina 47 del suddetto catalogo, “dalla raccolta Canti folcloristici curata dall’O.N.D. di Gallipoli nel 1934“.
Il testo del documento, considerato “‘minore’” per la storia della musica popolare salentina” (come si legge a pagina 13 del catalogo) e presentato per originale, differisce in maniera notevole da quello proposto nella pubblicazione del 2006.
Il catalogo, distribuito suppongo in migliaia di copie, determina un falso che difficilmente può essere corretto, una invenzione di sana pianta di un testo che non esiste e che va a sostituire l’originale.
In seno al già citato Istituto Diego Carpitella si tende poi a creare una lettura storica che non analizza i fatti, per quanto possibile, a 360 gradi; questo è un fardello pesantissimo per chi, della scientificità delle proprie ricerche, ha fatto un vanto. Tali rimescolanze storiche, che talvolta divengono vere e proprie invenzioni, vengono diffuse attraverso la Ndt.
Sempre per rimanere in tema di tarantole è bene segnalare come molto spesso, fra gli studiosi locali, si creino delle vere e proprie reti di amicizia e questo trasforma uno scritto che dovrebbe essere scientifico in un elogio-recensione degli amici. Il metodo è semplice: non nominare mai, neppure en passant, magari per criticarli, lavori che non siano stati scritti da gente che non è di propria conoscenza. Se questo sul piano personale può apparire una sgarbatezza, sul piano del metodo storico è una leggerezza che evidenzia quanto partigiana sia la lettura storica.

1 commento:

  1. Pienamente d'accordo con quanto qui leggo e che vado dicendo da decenni. Si deve ancora scrivere una seria storia della poetica e della musica salentina, scevra da campanilismi inutili e fuorvianti e attenta a tutte le forme ed espressioni. La pizzica e sue varianti come viene raccontata oggi sui palchi è uno show che certo piace ai ragazzi e che mette in moto le gambe, e le mani sui tamburi a cornice, ma io ricordo ben altre pizziche, dolorose e pietose, a cui ho partecipato come musicista terapeuta fin da ragazzino, prestato da mio padre a gruppetti di suonatori, dove l'imperativo era di suonare "robba veloci" qualunque fosse, ed io che non capivo ciò che poi da adulto avrei compreso mi ingegnavo con la mia fisarmonica Paolo Soprani a 48 bassi. Oggi esistono fior di musicisti, bravissimi e freddi, tecnicamente mostruosi ma senza quel calore e colore che io trovavo da ragazzo nelle sedute terapeutiche, che peraltro erano poche, molto poche, mentre di musica era piena tutta la giornata, canti alla stisa, canzoni ti putea, canti ti fatia e ti vindemmiaturi, ti ualani, un mondo che non esiste più e di cui ormai pochi sopravvissuti ricordano bene l'esistenza, così diversi dagli arrangiamenti da palco, fatti da complessi musicali professionali, con amplificatori potenti dove invece potente doveva essere la voce delle tabbacchine, con ballerine che hanno seguito corsi di ballo con Pino Gala e travestite da tarantate quando di tarantate non ne hanno mai viste.
    So di essere un sopravvissuto, vado per i 74 anni, e suono da 69 anni; chi volesse mi può scrivere e chiedermi quello che vuole su questi argomenti, tenendo presente che sono testimone oculare per l'area di Brindisi, mentre da adulto (si fa per dire, a 22 anni ero ufficiale a Galatina dal 1962) mi sono occupato a fondo dell'area leccese escludendo la Grecìa, già allora "infestata" da ricercatori di tutte le specie.

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