giovedì 29 maggio 2014

Serpenti di fuoco, dalla Bibbia alla tarantola


Serpenti di fuoco, dalla Bibbia alla tarantola
Il passo di Alberto di Aquisgrana dal titolo “Come molti perirono a causa dei serpenti nella città di Sidone” (lib. V, cap. XL - Historia Hierosolymitanae Expeditionis, scritta fra il 1125 e il 1158) risulta importante perché, allo stato attuale degli studi sul tarantismo, è il primo nel quale si utilizza in terra medio-orientale il termine Tarenta. Riassumiamo brevemente i fatti: durante la prima crociata (indetta nel 1095 da Papa Urbano II) l’esercito cristiano si accampa nei pressi di Sidone, nell'attuale Libano, e qui è assalito da alcune “Tarenta. In tanti, fra coloro i quali vengono morsi, periscono. Altri, edotti dagli indigeni su come medicare le ferite, riescono a salvarsi.
Il fatto strano è che quelle “Tarenta” non sono le tarantole-ragno a noi ben note bensì, come ci scrive il cronachista d’Aquisgrana, sarebbero “serpenti di fuoco”.
In realtà non è il primo a parlare di serpenti infuocati in Medio Oriente, c’è, infatti, un precedente illustre: la Bibbia (Libro dei Numeri, 21:4-9) specificatamente la Vulgata: “[…] Quamobrem misit Dominus in populum ignitos serpentes, ad quorum plagas et mortes plurimo rum […]” (anche se nellaVetus Latina sono generici serpenti: ora ergo ad Dominum ut auserat à nobis serpentem). Nella CEI74 (la Bibbia nella trasposizione della CEI ediz. ‘74) e nella Nuova Riveduta, “infuocato” è reso come “velenoso”. Nella CEI2008 compare invece il termine “bruciante”, simile a infuocato, ardente, ma interpretabile in maniera più immediata, anche rispetto alla traduzione della Nuova Diodati, della quale riportiamo il passo in questione, poiché considerata l’elaborazione più fedele alla Vulgata:

I serpenti ardenti” e il serpente di bronzo
Poi i figli d’Israele partirono dal monte Hor, dirigendosi verso il Mar Rosso, per fare il giro del paese di Edom; e il popolo si scoraggiò a motivo del viaggio. Il popolo quindi parlò contro Dio e contro Mosè, dicendo: «Perché ci avete fatti uscire dall’Egitto per farci morire in questo deserto? Poiché qui non c’è né pane né acqua e siamo nauseati di questo miserabile cibo». Allora l’Eterno mandò fra il popolo dei serpenti ardenti i quali mordevano la gente, e molti Israeliti morirono. Così il popolo venne da Mosè e disse: «Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro l’Eterno e contro di te; prega l’Eterno che allontani da noi questi serpenti». E Mosè pregò per il popolo. L’Eterno disse quindi a Mosè: «Fa’ un serpente ardente e mettilo sopra un’asta; e avverrà che chiunque sarà morso e lo guarderà, vivrà». Mosè fece allora un serpente di bronzo e lo mise sopra un’asta; e avveniva che, quando un serpente mordeva qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, viveva”.

L’interpretazione che offre una visione più immediata di questi “serpenti ardenti” è, si diceva, quella che ritroviamo nella CEI2008: brucianti, nel senso di “serpenti che infiammano col loro morso”, causando ferite dolorose o, anche, “serpenti dal morso bruciante”.
Se incrociamo i dati col racconto di Alberto d’Aquisgrana, in particolare quando si afferma che “alcuni (dei morsicati) morirono [...] per una sete insopportabile”, possiamo supporre che il veleno causasse nell’uomo idrofobia e che quindi la morte fosse indotta per un forte calore. Non è da escludere, poi, che con “infuocato” ci si riferisse al colore della pelle dei serpenti (intesi come esseri striscianti -gravame per la terra- quindi anche ragni, scorpioni, e altro).
Infine una osservazione, che mi riprometto di verificare più approfonditamente: secondo Goffredo di Malaterra (XI-XII sec.) l’esercito normanno che fu attaccato dalle tarantole nei pressi di Palermo, nel 1064, proveniva in parte dalla Puglia; non è dunque peregrina l'idea che i crociati che si trovarono ad affrontare il “problema tarantole” nei pressi di Sidone, avessero a che fare con la Terra d’Otranto, visto e considerato che la prima crociata mosse i suoi passi anche dalla Puglia, sotto la guida di Boemondo I d’Altvilla (o, manco a dirlo, Boemondo da Taranto).

domenica 18 maggio 2014

Achille Vergari, nota sul tarantismo


Nota sul tarantismo 
Una sintesi vivacissima dei sintomi e dei danni, talvolta permanenti, prodotti dal veleno tarantolino è data da Achille Vergari, nel suo Tarantismo (1839): “Se le sofferenze prodotte dal veleno delle tarantole non passano del tutto, restano dissesti cronici […] fra gli altri è una particolare malinconia e talvolta stupidezza, la quale dura sino a che il veleno tarantolino o le modificazioni indotte non vengono tolte […]. I fenomeni ipocondriaci dei tarantolati sono: desiderio dei luoghi solitari e dei sepolcri, di stendersi sui feretri a guisa dei morti, e di gettarsi nei pozzi. Le donne sogliono perdere la verecondia facendo delle cose oscene. Altri amano rotolarsi nel fango; altri trovano diletto nell'essere battuti, altri nella corsa a salti, da cui la definizione di morbus saltatorius. I colori spiegano diverse azioni sui tarantolati, piacevoli e sgradevoli, sino a farli divenire furiosi”, per quanto riguarda la ciclicità del fenomeno e la particolare sensibilità ai suoni, Achille Vergari continua scrivendo che “I tarantolati, dopo essere guariti dall'acuzie morbosa, sogliono restare per qualche tempo malsani e, soprattutto, in una specie di vacuità. […] Tutti i tarantolati, nel tempo della stagione calda, nonostante fuori dalle sofferenze, nell'accordo degli strumenti musicali sentono grate ed eccitanti emozioni.

I tarantolati dopo il parossismo non ricordano ciò che hanno fatto, non più appetiscono quel che desideravano, e paiono destati da profondo sonno o delirio”.