Reggae+Hip
Hop. La forza liberatrice dell'arte
"Fondamentale
ti dico fondamentale
ritmo
vitale ritmo radicale
ma
l'importante credimi è comunicare
a
tempo pulsante è fondamentale"
(Militant
P, Fondamentale)
Imbracciare
un mito
Buongiorno
a tutti, sono veramente onorato di partecipare a questa tavola
rotonda* nella quale si cerca di dare risposta ad un quesito che non
è affatto banale: l'arte cura? Credo di sì, anzi ne sono certo e
argomento la mia risposta affermativa portando l'esempio di una
controcultura che qui nel Salento ha trovato larghissima diffusione,
ossia il Reggae+Hip Hop(1) che si propone di rendere libero
l'individuo e la società dalle nuove e vecchie oppressioni –
criminalità organizzata, droga, mala politica, baronie –
attraverso la riscoperta delle identità individuali e collettive. E
proprio la (ri)conoscenza delle origini rende caratteristica la
catarsi nel Raggamuffin locale: qui la rivoluzione non si attua
urlandola ma riacquisendo consapevolezza delle proprie radici: si
tratta di "imbracciare un mito"(2), quello della
tradizione, perché si stimoli un percorso di introspezione non solo
individuale che valorizzi il passato, in questo senso l'attività
artistica non è fine a se stessa, non aspira a divenire opera morta
da osservare nel chiuso di un museo, ma prende vita nella società,
vivacizzandola.
Jahman=shaman?
coincidenze nel suono e nei fatti
Non
so ancora se ciò che sto per dire sia direttamente collegabile alle
pratiche sciamaniche ma ho trovato molto gradevole il gioco di parole
"Scia(U)manesimo" perché ne richiama un altro proprio
della religione rasta: Jahman(3)
–
tradotto letteralmente significa "uomo-Jah", uomo di Dio –
che sta a significare, fra l'altro, l'avvicinarsi dell'uomo a Jah
(quindi lo spirito superiore), anche attraverso l'induzione di stati
modificati di coscienza.
Se
si parla di cultura rasta, si parla anche di Reggae e qui
Jahman,
può riferirsi all'artista-musicista che sta per avvicinarsi a Jah.
Jahman
rievoca nel suono sciamano (in inglese shaman);
è una coincidenza che mi consente di introdurre il discorso sul
movimento Reggae+Hip Hop che qui da noi ha trovato terreno fertile,
riscuotendo ampio consenso fra la gente e interessando la stampa ma
anche due autorevoli accademici, Piero Fumarola e Georges
Lapassade(4), che ne hanno fatto oggetto di analisi. È interessante
porre l'attenzione sul potere terapeutico di quei suoni, riconoscendo
al dj il ruolo di sciamano del mondo moderno, colui il quale riesce
ad affrancare dalle negatività gli ascoltatori danzanti attraverso
il sapiente utilizzo della musica e della parola (col suo potere
magico) quindi, oltre che nell'assonanza, la coincidenza fra sciamano
e Jahman
è anche nei fatti.
Dj=Jahman=Shaman
che cura il pubblico danzante, ponendosi sullo stesso piano
Si
aggiunga che nelle dance hall, che poi sono i luoghi ove si svolgono
queste feste, questi riti di liberazione contemporanei, il palco è
assente, e questo perché artista e pubblico, medico e paziente,
devono essere sullo stesso piano, di fronte, contrapposti, entrambi
alla ricerca di armonia; il terapeuta non trova pace fino a quando
non compie l'impresa assegnatagli: liberare l'invasato attraverso il
sapiente e cosciente utilizzo delle tecniche del mixing
e del toasting(5);
in questo senso l'arte, quand'anche non assolva al proprio compito, è
ritenuta potenzialmente in grado di guarire, cercando di portare
l'equilibrio assoluto(6).
Originalità
dello stile salentino
Ma
torniamo al Raggamuffin nel Salento, che nasce ufficialmente nel 1991
con il singolo Fuecu
(fuoco, forse con richiamo al fiah-fire
jamaicano) del Sud Sound System.
Fin
da subito si avanzò l'ipotesi del legame diretto fra questa nuova
musica e quella tradizionale delle campagne; probabilmente non si
avevano tutti i torti – benché dal punto di vista storico ciò
non trovi riscontro tanto è che il Raggamuffin indigeno è
connesso all'esperienza dialettale leccese urbana – vi sono diversi
riferimenti non solo testuali ma anche musicali con la precedente
esperienza rurale: alcune canzoni sono riprese dalla tradizione
orale(7) per essere rilette in chiave reggae, mentre le esibizioni
live e le registrazioni con tamburellisti salentini, quando il
toasting
è praticato al ritmo dei tamburelli, fungono da testimonianza
relativamente alla parte specificatamente sonora.
Questo
per quanto riguarda testo e musica; ora vediamo come la cultura
Reggae+Hip Hop si innesti a quella della tradizione di Terra
d'Otranto delle campagne (o viceversa), tanto da assumere una
connotazione del tutto specifica rispetto a quelle di origine,
creando dunque per provenienza e diffusione, un nuovo genere
popolare.
Nel
resto del mondo, pur avendo comuni radici nere, Reggae ed Hip Hop
sono due culture distinte e, anche se percorrono strade che portano
ambedue in direzione della pace, la prima è esperienza più
spirituale, mistica, legata com'è alla religione rasta, e cerca la
liberazione dell'uomo dall'oppressione dei potenti, attraverso il
ricongiungimento con Jah (Jahman)
e fra uomo e uomo (I
n I);
l'altra è urbana e, nata nei ghetti americani, si propone di
trasformare l'energia negativa in positiva, incanalando la violenza -
presente nelle strade e che scaturisce da conflitti fra bande rivali
- in tipi di sfide non basate sullo scontro fisico, che vedono
prevalere il più forte, ma sul duello artistico (attraverso la
pratica dell'attività, vocale, musicale, pittorica, della danza).
Fusione
di stili, idee. "Radici, cultura, tradizione"
In
Terra d'Otranto, almeno all'inizio, queste due culture si fondono,
realizzando uno stile nuovo rispetto al panorama locale, occupato
dalla canzone dialettale leccese-urbana che, dalla fine degli anni
Sessanta, aveva fatto proprie alcune problematiche legate al vivere
cittadino, ma ormai, avendo nella metà degli anni Ottanta esaurito
ogni spinta innovativa, non riusciva più ad intercettare se non in
minima parte i "nuovi giovani", quelli che erano costretti
ad emigrare per motivi non solo lavorativi ma anche di studio e che
quaggiù dovevano confrontarsi con problemi sociali che parevano
insormontabili.
Ecco
allora la novità: il Reggae+Hip Hop che "parla di radici,
cultura e tradizione"(8) riesce a svegliare l'interesse delle
nuove generazioni per la cultura della propria terra d'origine, tanto
da spingerli alla riscoperta delle fondamenta come unica possibilità
per affrancarsi dalle nuove schiavitù.
Rinascita
del territorio attraverso le vibrazioni positive
Ecco
perché il movimento salentino trova ampio riscontro in tutte le
fasce d'età, raggiungendo una popolarità all'inizio ritenuta
effimera da tanti. Inutile dire che a venti e passa anni di distanza
la scena è più viva e vivace che mai, e risponde alle esigenze di
un territorio che grazie a queste "positive vibrations",
per dirla alla Bob Marley, è riuscito a recuperare una identità che
rischiava di fermarsi al tarantismo.
In
questo senso l'arte ha curato non una persona, ma un territorio
intero, facendolo rinascere.
(*)
I giorni 11, 12, 13 settembre si è svolto a Nardò il convegno
“Sulle tracce del Terzo
Paradiso.
Dalle tradizioni popolari alle terapie del futuro. Dialogo fra Italia
e Finlandia per un nuovo Scia(U)manesimo”, organizzata dalla Rete
Euromediterranea per l'Umanizzazione della Medicina
Durante
la tre giorni, Italia e Finlandia si sono confrontate su antichi e
nuovi sciamanesimi “sulle tracce del Terzo
Paradiso
di Michelangelo Pistoletto, per la rinascita di un nuovo umanesimo,
per riunificare i vari mondi che animano l'individuo e la comunità e
anche per sperimentare forme di cura innovative”.
Sabato
12 ho partecipato alla tavola rotonda condotta da Eija Tarkianinen
che si proponeva di rispondere ad un quesito tutt'altro che banale:
“L'arte cura?”. Gli altri relatori erano: la psico-interprete
dell'arte Chiara Armillis, il regista Giuliano Capani (Unisalento),
l'antropologo Eugenio Imbriani (Unisalento) e lo psicologo Ilio Torre
Il
discorso si è incentrato su cosa fosse da considerare "arte"
ed "espressione artistica": ognuno fra i conferenzieri ha
espresso la propria opinione, come prevedibile differente da quella
dell'altro, e anche fra il pubblico, in tanti, hanno posto domande
ed esposto il proprio punto di vista; questo a dimostrare che su
concetti che non esistono in quanto tali "la" risposta non
sussiste.
Per
l'occasione avevo preparato una relazione (non tanto breve, in
realtà, sarebbe dovuta durare una decina di minuti) nella quale
spiegavo il perché, a mio avviso, l'arte cura ma non c'è stato
tempo per esporla.
Giacché
potevo in questa sede l'ho annotata essenzialmente, sperando possa
interessare.
Colgo
l'occasione per ringraziare la professoressa Rossana Becarelli, la
dottoressa Rosetta Sambati e la dottoressa Eija Tarkiainen che ho
avuto modo di apprezzare in un breve ma interessante colloquio a
Kurumuny.
(1)
Utilizzo volutamente il segno "+" al posto del trattino,
per meglio rendere l'idea della fusione delle due culture.
(2)
Ripreso da La
gioventù,
sul disco "La Rocha" dell'omonimo gruppo folk/punk
salentino.
(3)
Sintetizzo da altri – parola chiave: Bones (1986:46) - “'I' (io)
è la prima persona singolare, 'I' è Jah Rastafari, Haile Selassie
I, il primo e il solo. Jah è nero, così ne segue che 'I' è nero.
Nero, Jah ed 'I' e in questo senso sono termini intercambiabili
ognuno ha lo stesso significato dell'altro. Ogni Rastaman è
'Jahman'; così ogni 'Jahman' è un 'I man'. Da qui ogni 'I man' è
anche 'you man' (human). Ora, se 'I man' è differente da 'you man' o
da 'me man' è perché egli è la prima persona. Per questo da quando
Rasta è 'I', una moltitudine di Rasta è “I and I”.
(4)
Si veda Inchiesta
sull'Hip Hop,
Lecce 1991.
(5)
È una pratica vocale che consiste nel parlare/cantare su un ritmo.
Trova l
(6)
A questo punto, visto che eravamo a Nardò, avrei voluto potuto così
divagare: «[...]Ma Nardò è anche la patria di Luigi Stifani, il
barbiere taumaturgo delle tarantate, uno sciamano che riusciva col
suo violino (e l'orchestrina composta da un tamburellista ed un
fisarmonicista) a curare chi veniva morso dal ragno: la ricerca dello
spirito malvagio avveniva attraverso il paziente, Stifani, osservando
il malcapitato, riusciva a identificare il tipo di tarantola che
aveva inoculato il veleno e quindi selezionare la musica necessaria
per concludere positivamente il rito, questo ovviamente secondo la
tradizione.
Ovviamente
Stifani non è l'unico protagonista-guaritore in un fenomeno che deve
essere inteso, a nostro avviso, come un rito di possessione e
liberazione collettivo, le cui cause non possono essere ridotte a
ragioni di carattere economico e sociale del meridione Medievale,
sarebbe antistorico oltre che riduttivo: celebrando il rituale del
tarantismo si cercava di liberare l'individuo dallo spirito
maligno-tarantola che se ne era impossessato, su questo non c'è
alcun dubbio, però lo scopo era anche quello di allontanare il male
dalla società, altrimenti non si spiegherebbe una partecipazione
così ampia ed interessata (così raccontano i viaggiatori stranieri)
al cerimoniale, soprattutto da parte di quei contadini che erano
costretti a lavorare per tutta l'estate nei campi, sotto il sole,
correndo il rischio di incontrare la "taranta" che, pur
essendo un simbolo, faceva paura come se fosse realmente dannosa e
portava, in ogni caso, scompiglio, destabilizzando fragili equilibri.
Solo scacciando il male, simbolicamente, tutta la società poteva
riacquisire tranquillità.
Il
minimo comune denominatore dunque è lo stesso, tanto che sia un dj a
cercare di liberare la moltitudine danzante, tanto che sia la
moltitudine a cercare di liberare un solo invasato: la ricerca
dell'armonia, dell'equilibrio assoluto, che scaturisce dall'incontro
fra esorcista-sciamano e posseduto.
Questo
avviene attraverso la musica, che poi altro non è se non una
espressione artistica, tanto è che "L’uso
del suono, del ritmo, della vocalità ha accompagnato spesso le
attività di cura e guarigione nelle tradizioni di molti popoli.
Nello sciamanesimo artico, come nei riti amazzonici, il suono della
voce, la melodia del canto e il ritmo della musica producevano
effetti sui “pazienti”, così le percussioni nell’Africa nera o
la pizzica nel fenomeno del tarantismo salentino si avvalgono di
ritmi sincopati e iterativi per agire su fenomeni patologici di
malessere o di disagio psichico", come recita l'incipit "Dalle
tradizioni popolari alle terapie del futuro".
In
molti riti, per allontanare gli spiriti del male si causava un gran
baccano, anche "percuotendo l'aria con dei bastoni", per
utilizzare James Frazer, ma si pensi anche al tarantismo, al battere
incessante e ritmato dei tamburelli. Questa pratica è già attestata
in una delle prime tracce scritte sulla tarantola e risalente al XII
secolo, quando Alberto di Aquisgrana dice che "i Cristiani
impararono anche dagli abitanti del luogo che dovevano battere le
pietre con colpi frequenti o procurare altro rumore percuotendole
sugli scudi così che i serpenti venissero spaventati da questo
strepito e i compagni potessero così riposare tranquilli"; Era
forse una prima forma di musicoterapia per liberarsi dalle
"Tarenta"?».
(7)
Ma si pensi che il primo scratch in dialetto salentino è presente
già in Fuecu,
effettuato da Dj War su un brano del Canzoniere Grecanico.
(8)
Cito Treble in Reggae
Internazionale (1992).