giovedì 25 settembre 2014

Quando la tarantola “conquestava la Sichilia”


Quando la tarantola
“conquestava la Sichilia”

Allo stato attuale degli studi, quella di Goffredo Malaterra (XI sec.) risulta essere la prima testimonianza dell’uso del termine Taranta intesa come verme capace, col suo pizzico, di avvelenare chi vien punto (“La tarantola è un verme che ha l’aspetto di un ragno, ma ha un aculeo velenoso e di puntura spiacevole”). Il monaco benedettino, oltre ad esporre gli effetti molesti del morso ne suggerisce un rimedio, che egli chiama clibanica, consistente nell’“infornare” il malcapitato perché questi sudasse, espellendo così il veleno. A supporto di tale interpretazione, riportiamo due documenti che illustrano in maniera immediata e vivace, questo singolare trattamento.
Il primo, risalente al 1358, è tratto da un manoscritto di fra’ Simone da Lentini La Conquesta di Sichilia, ed è un rimaneggiamento in siciliano dell’opera del Malaterra. 

La conquesta di Sicilia. Capitulo XV. Comu lu Duca Rubertho vinni in ayuto di lo Conti, per prindiri Palermu, et poi appiro grandi vittoria di li Palermitani.
Essendu lu Duca Ruberto in Pugla, et audendo chi so frati in Sicilia avia grandi affanni et periculi […] vinni in Calabria, per veniri in Sicilia ad ayutari a so frati. […] Anno milli LXIV. Passaru lu Faru, lu Duca et lo Conti solamenti cu CCCCC homini di cavallo; et vinendu in Sicilia, discurrendu per tutti li terri, non trovaro nullo ascontro di inimichi: et camminandu per Palermu, si misiro in uno munti, ch’appi nomu Munti Tarantino, per li multi tarantuli chi si generano; eta a quillo tempu era tanta la moltitudini di li tarantuli, chi lo campo, et li Normandi ni foro grandimenti offisi; et la natura di quisti tarantuli è chi a qualunque persona ch’è muccicata si genera tanta ventositati ch’è una cosa stupenda ad intendiri la ventositati, chi nexi di lo corpo muccicato; et non cessa quista ventositati fin chi lu muccicatu non s’ha misu intro uno furno caudu; et multi ni morino: vero chi uno chalouru in principiu secundu tiriria tali veneno fora. […].

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Per avere ulteriore conferma che clibanica debba essere inteso come “cura del forno”, riportiamo quest’altra “scoppiettante”, è il caso di dirlo, descrizione di Nicolò Palmieri, tratta dalla Somma della Storia di Sicilia di Niccolò Palmieri (Editore Giuseppe Meli, Palermo 1856).

“Narra il Malaterra, che il duca Roberto e ’l conte Ruggiero col loro esercito vennero ad accamparsi sopra un monte nei dintorni di Palermo, il quale ebbe in appresso il nome di Tarantino, per la quantità de’ ragnatelli, che vi erano, nel latino barbaro chiamate tarantae, onde venne il nome siciliano tarantuli. I morsi di tali insetti producevano una strana malattia. Gl’intestini s’empivano d’aria; per lo che tutti, ch’erano su quel monte, divennero petardi, e se non s’esponevano sulle prime al calore del forno, ne morivano. Nessuno dei monti, che circondano Palermo, ha mai avuto il nome di Tarantino; i morsi de’ ragnatelli, come ché ve ne fossero dei velenosi, non hanno mai prodotto quello strano male. Forse alcuno de’ cavalieri normanni avrà detto ciò per celia a Malaterra, e ’l buon monaco se la bevve. Ma nel proemio della storia ei si protesta che gli errori di essa: non tam mihi, quam relatoribus, culpando adscribantur; praesertim cum de ipsis temporibus, quibus fiebant, praesentialiter non interfuissem, sed a transmontanis partibus venientem, noviter Apulum factum, vel certe Siculum ad plenum cognoscatis”.

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Ultimissima nota: Per il Du Cange se “Clibanicus” è pane cotto in argilla, “Clibanus” è uno strumento di ferro, di argilla o di qualsiasi altro materiale sotto il quale è possibile cucinare di tutto, non solo il pane. I Galli la chiamano “campana”, poiché somiglia a quella figura. Differisce tuttavia dal forno sia perché è mobile, sia perché è più piccolo e perché è fatto di altri materiali

(1) “I nostri molestati dalle tarantole”, tratta dal De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae comitis et Roberti Guiscardi ducis fratris eius, Lib. II, Cap. XXXVI, nell’edizione Pontieri del 1928 e da noi rielaborata in Viaggio nel Salento magico, Lecce 2013.
(2) Quella che qui proponiamo è la trascrizione a stampa curata da Vincenzo di Giovanni, Cronache siciliane, Gaetano Romagnoli 1865.
(3) Riduzione in italiano: La conquista della Sicilia, Capitolo XV, Come il duca Roberto andò in aiuto del conte, per prendere Palermo. Il duca Roberto, mentre era in Puglia, venne a sapere che suo fratello, in Sicilia, si trovava in gravi difficoltà e, così, si mosse per l’isola, passando per la Calabria, per portargli aiuto. […] Anno 1064. Il Duca e il Conte, passarono il Faro con soli 500 cavalieri e, una volta arrivati in Sicilia, non incrociarono nemico alcuno. Procedendo verso Palermo posarono le tende su un monte chiamato Tarantino, a causa della gran quantità di tarantole che lo infestava; In quella stagione era tanta la moltitudine di ragni che in tanti, fra i Normanni, ne furono offesi. La natura particolare di queste tarantole sta nel fatto che generano talmente tanta aria in chi è morso che la pancia si gonfia, provocando ventositati (flatulenza, ndr) straordinaria che non finisce fino a quando il malcapitato non è messo nel forno caldo – in nota Vincenzo di Giovanni scrive che “Il Malaterra così dice del rimedio di questo chalouru o calura come oggi si sente, e calore nel volgare comune. Onde il chalouru è il ferventior aestuatio (il caldo più feroce, ndr), o il clibanica dello storico normanno” –, molti perirono a causa dell’aria nella pancia. Il principio è che il calore, facendo sudare, espelle il veleno.
(4) Charles Du Fresne Du Cange, Glossarium ad scriptores mediae et infimae latinitatis, 1733.
(5) Panis in testa coctus.
(6) (Cibanus est) Instrumentum ex ferro aut opere figlino, aut alia materia confectum, sub quo non solum panis, sed aliud quidvis coqui potest. Campanam Galli vocant, quod ad eam figuram proxime accedat. Differt autem a furno, tum quia mobile sit, tum quia minus, aliaque insuper materia constet.