lunedì 26 ottobre 2015

Mosaico di Otranto, mese di giugno, i Gemelli che (mi) paiono tarantolati


Mosaico di Otranto,  mese di giugno, i Gemelli che (mi) paiono tarantolati 



IVNII (giugno), particolare del mosaico nella Cattedrale di Otranto, realizzato tra il 1163 e il 1165 dal monaco Pantaleone della vicina Badia di Casole.
La scena, raffigurante il mese di giugno, vede protagonista principale un contadino intento a mietere, in alto a destra il segno zodiacale dei Gemelli e, in basso a destra, due covoni. In alto a sinistra, all’esterno della cornice, una figura zoomorfa, probabilmente uno scoiattolo-spaventapasseri che batte i piatti per allontanare gli uccelli dal grano (cfr Grazio Gianfreda, "Il mosaico di Otranto", Edizioni Del Grifo, Lecce 2009). Questa la lettura più accreditata.
Noi, invece, alla scena abbiamo dato tutt’altra interpretazione, fantasiosa ma non priva di fascino: essendo giugno il mese della tarantola abbiamo immaginato nei due covoni e negli steli di grano sotto i piedi del contadino una scolopendra, un ragno e alcuni serpenti e nei Gemelli due giovani che paiono danzare quasi fossero stati pizzicati.

Lo pubblicherò prossimamente su un mio libro.

giovedì 22 ottobre 2015

All'ulivo, una poesia di Salvatore Toma


All'ulivo, di Salvatore Toma

Ulivo, io non credo
che siano di pace le tue fronde:
mutilato,
deforme
della terra figlio,
vivi nel dolore del dare
come un monumento.
Che cuore avrà mai
chi dice che non soffri
necessaria come sei,
nodosa forma?



domenica 18 ottobre 2015

Reggae+Hip Hop. La forza liberatrice dell'arte

Reggae+Hip Hop. La forza liberatrice dell'arte


"Fondamentale ti dico fondamentale
ritmo vitale ritmo radicale
ma l'importante credimi è comunicare
a tempo pulsante è fondamentale"
(Militant P, Fondamentale)


Imbracciare un mito
Buongiorno a tutti, sono veramente onorato di partecipare a questa tavola rotonda* nella quale si cerca di dare risposta ad un quesito che non è affatto banale: l'arte cura? Credo di sì, anzi ne sono certo e argomento la mia risposta affermativa portando l'esempio di una controcultura che qui nel Salento ha trovato larghissima diffusione, ossia il Reggae+Hip Hop(1) che si propone di rendere libero l'individuo e la società dalle nuove e vecchie oppressioni – criminalità organizzata, droga, mala politica, baronie – attraverso la riscoperta delle identità individuali e collettive. E proprio la (ri)conoscenza delle origini rende caratteristica la catarsi nel Raggamuffin locale: qui la rivoluzione non si attua urlandola ma riacquisendo consapevolezza delle proprie radici: si tratta di "imbracciare un mito"(2), quello della tradizione, perché si stimoli un percorso di introspezione non solo individuale che valorizzi il passato, in questo senso l'attività artistica non è fine a se stessa, non aspira a divenire opera morta da osservare nel chiuso di un museo, ma prende vita nella società, vivacizzandola.

Jahman=shaman? coincidenze nel suono e nei fatti
Non so ancora se ciò che sto per dire sia direttamente collegabile alle pratiche sciamaniche ma ho trovato molto gradevole il gioco di parole "Scia(U)manesimo" perché ne richiama un altro proprio della religione rasta: Jahman(3) – tradotto letteralmente significa "uomo-Jah", uomo di Dio – che sta a significare, fra l'altro, l'avvicinarsi dell'uomo a Jah (quindi lo spirito superiore), anche attraverso l'induzione di stati modificati di coscienza.
Se si parla di cultura rasta, si parla anche di Reggae e qui Jahman, può riferirsi all'artista-musicista che sta per avvicinarsi a Jah.
Jahman rievoca nel suono sciamano (in inglese shaman); è una coincidenza che mi consente di introdurre il discorso sul movimento Reggae+Hip Hop che qui da noi ha trovato terreno fertile, riscuotendo ampio consenso fra la gente e interessando la stampa ma anche due autorevoli accademici, Piero Fumarola e Georges Lapassade(4), che ne hanno fatto oggetto di analisi. È interessante porre l'attenzione sul potere terapeutico di quei suoni, riconoscendo al dj il ruolo di sciamano del mondo moderno, colui il quale riesce ad affrancare dalle negatività gli ascoltatori danzanti attraverso il sapiente utilizzo della musica e della parola (col suo potere magico) quindi, oltre che nell'assonanza, la coincidenza fra sciamano e Jahman è anche nei fatti.

Dj=Jahman=Shaman che cura il pubblico danzante, ponendosi sullo stesso piano
Si aggiunga che nelle dance hall, che poi sono i luoghi ove si svolgono queste feste, questi riti di liberazione contemporanei, il palco è assente, e questo perché artista e pubblico, medico e paziente, devono essere sullo stesso piano, di fronte, contrapposti, entrambi alla ricerca di armonia; il terapeuta non trova pace fino a quando non compie l'impresa assegnatagli: liberare l'invasato attraverso il sapiente e cosciente utilizzo delle tecniche del mixing e del toasting(5); in questo senso l'arte, quand'anche non assolva al proprio compito, è ritenuta potenzialmente in grado di guarire, cercando di portare l'equilibrio assoluto(6).

Originalità dello stile salentino
Ma torniamo al Raggamuffin nel Salento, che nasce ufficialmente nel 1991 con il singolo Fuecu (fuoco, forse con richiamo al fiah-fire jamaicano) del Sud Sound System.
Fin da subito si avanzò l'ipotesi del legame diretto fra questa nuova musica e quella tradizionale delle campagne; probabilmente non si avevano tutti i torti – benché dal punto di vista storico ciò non trovi riscontro tanto è che il Raggamuffin indigeno è connesso all'esperienza dialettale leccese urbana – vi sono diversi riferimenti non solo testuali ma anche musicali con la precedente esperienza rurale: alcune canzoni sono riprese dalla tradizione orale(7) per essere rilette in chiave reggae, mentre le esibizioni live e le registrazioni con tamburellisti salentini, quando il toasting è praticato al ritmo dei tamburelli, fungono da testimonianza relativamente alla parte specificatamente sonora.
Questo per quanto riguarda testo e musica; ora vediamo come la cultura Reggae+Hip Hop si innesti a quella della tradizione di Terra d'Otranto delle campagne (o viceversa), tanto da assumere una connotazione del tutto specifica rispetto a quelle di origine, creando dunque per provenienza e diffusione, un nuovo genere popolare.
Nel resto del mondo, pur avendo comuni radici nere, Reggae ed Hip Hop sono due culture distinte e, anche se percorrono strade che portano ambedue in direzione della pace, la prima è esperienza più spirituale, mistica, legata com'è alla religione rasta, e cerca la liberazione dell'uomo dall'oppressione dei potenti, attraverso il ricongiungimento con Jah (Jahman) e fra uomo e uomo (I n I); l'altra è urbana e, nata nei ghetti americani, si propone di trasformare l'energia negativa in positiva, incanalando la violenza - presente nelle strade e che scaturisce da conflitti fra bande rivali - in tipi di sfide non basate sullo scontro fisico, che vedono prevalere il più forte, ma sul duello artistico (attraverso la pratica dell'attività, vocale, musicale, pittorica, della danza).

Fusione di stili, idee. "Radici, cultura, tradizione"
In Terra d'Otranto, almeno all'inizio, queste due culture si fondono, realizzando uno stile nuovo rispetto al panorama locale, occupato dalla canzone dialettale leccese-urbana che, dalla fine degli anni Sessanta, aveva fatto proprie alcune problematiche legate al vivere cittadino, ma ormai, avendo nella metà degli anni Ottanta esaurito ogni spinta innovativa, non riusciva più ad intercettare se non in minima parte i "nuovi giovani", quelli che erano costretti ad emigrare per motivi non solo lavorativi ma anche di studio e che quaggiù dovevano confrontarsi con problemi sociali che parevano insormontabili.
Ecco allora la novità: il Reggae+Hip Hop che "parla di radici, cultura e tradizione"(8) riesce a svegliare l'interesse delle nuove generazioni per la cultura della propria terra d'origine, tanto da spingerli alla riscoperta delle fondamenta come unica possibilità per affrancarsi dalle nuove schiavitù.

Rinascita del territorio attraverso le vibrazioni positive
Ecco perché il movimento salentino trova ampio riscontro in tutte le fasce d'età, raggiungendo una popolarità all'inizio ritenuta effimera da tanti. Inutile dire che a venti e passa anni di distanza la scena è più viva e vivace che mai, e risponde alle esigenze di un territorio che grazie a queste "positive vibrations", per dirla alla Bob Marley, è riuscito a recuperare una identità che rischiava di fermarsi al tarantismo.
In questo senso l'arte ha curato non una persona, ma un territorio intero, facendolo rinascere.

(*) I giorni 11, 12, 13 settembre si è svolto a Nardò il convegno “Sulle tracce del Terzo Paradiso. Dalle tradizioni popolari alle terapie del futuro. Dialogo fra Italia e Finlandia per un nuovo Scia(U)manesimo”, organizzata dalla Rete Euromediterranea per l'Umanizzazione della Medicina
Durante la tre giorni, Italia e Finlandia si sono confrontate su antichi e nuovi sciamanesimi “sulle tracce del Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto, per la rinascita di un nuovo umanesimo, per riunificare i vari mondi che animano l'individuo e la comunità e anche per sperimentare forme di cura innovative”.
Sabato 12 ho partecipato alla tavola rotonda condotta da Eija Tarkianinen che si proponeva di rispondere ad un quesito tutt'altro che banale: “L'arte cura?”. Gli altri relatori erano: la psico-interprete dell'arte Chiara Armillis, il regista Giuliano Capani (Unisalento), l'antropologo Eugenio Imbriani (Unisalento) e lo psicologo Ilio Torre
Il discorso si è incentrato su cosa fosse da considerare "arte" ed "espressione artistica": ognuno fra i conferenzieri ha espresso la propria opinione, come prevedibile differente da quella dell'altro, e anche fra il pubblico, in tanti, hanno posto domande ed esposto il proprio punto di vista; questo a dimostrare che su concetti che non esistono in quanto tali "la" risposta non sussiste.
Per l'occasione avevo preparato una relazione (non tanto breve, in realtà, sarebbe dovuta durare una decina di minuti) nella quale spiegavo il perché, a mio avviso, l'arte cura ma non c'è stato tempo per esporla.
Giacché potevo in questa sede l'ho annotata essenzialmente, sperando possa interessare.
Colgo l'occasione per ringraziare la professoressa Rossana Becarelli, la dottoressa Rosetta Sambati e la dottoressa Eija Tarkiainen che ho avuto modo di apprezzare in un breve ma interessante colloquio a Kurumuny.
(1) Utilizzo volutamente il segno "+" al posto del trattino, per meglio rendere l'idea della fusione delle due culture.
(2) Ripreso da La gioventù, sul disco "La Rocha" dell'omonimo gruppo folk/punk salentino.
(3) Sintetizzo da altri – parola chiave: Bones (1986:46) - “'I' (io) è la prima persona singolare, 'I' è Jah Rastafari, Haile Selassie I, il primo e il solo. Jah è nero, così ne segue che 'I' è nero. Nero, Jah ed 'I' e in questo senso sono termini intercambiabili ognuno ha lo stesso significato dell'altro. Ogni Rastaman è 'Jahman'; così ogni 'Jahman' è un 'I man'. Da qui ogni 'I man' è anche 'you man' (human). Ora, se 'I man' è differente da 'you man' o da 'me man' è perché egli è la prima persona. Per questo da quando Rasta è 'I', una moltitudine di Rasta è “I and I”.
(4) Si veda Inchiesta sull'Hip Hop, Lecce 1991.
(5) È una pratica vocale che consiste nel parlare/cantare su un ritmo. Trova l
(6) A questo punto, visto che eravamo a Nardò, avrei voluto potuto così divagare: «[...]Ma Nardò è anche la patria di Luigi Stifani, il barbiere taumaturgo delle tarantate, uno sciamano che riusciva col suo violino (e l'orchestrina composta da un tamburellista ed un fisarmonicista) a curare chi veniva morso dal ragno: la ricerca dello spirito malvagio avveniva attraverso il paziente, Stifani, osservando il malcapitato, riusciva a identificare il tipo di tarantola che aveva inoculato il veleno e quindi selezionare la musica necessaria per concludere positivamente il rito, questo ovviamente secondo la tradizione.
Ovviamente Stifani non è l'unico protagonista-guaritore in un fenomeno che deve essere inteso, a nostro avviso, come un rito di possessione e liberazione collettivo, le cui cause non possono essere ridotte a ragioni di carattere economico e sociale del meridione Medievale, sarebbe antistorico oltre che riduttivo: celebrando il rituale del tarantismo si cercava di liberare l'individuo dallo spirito maligno-tarantola che se ne era impossessato, su questo non c'è alcun dubbio, però lo scopo era anche quello di allontanare il male dalla società, altrimenti non si spiegherebbe una partecipazione così ampia ed interessata (così raccontano i viaggiatori stranieri) al cerimoniale, soprattutto da parte di quei contadini che erano costretti a lavorare per tutta l'estate nei campi, sotto il sole, correndo il rischio di incontrare la "taranta" che, pur essendo un simbolo, faceva paura come se fosse realmente dannosa e portava, in ogni caso, scompiglio, destabilizzando fragili equilibri. Solo scacciando il male, simbolicamente, tutta la società poteva riacquisire tranquillità.
Il minimo comune denominatore dunque è lo stesso, tanto che sia un dj a cercare di liberare la moltitudine danzante, tanto che sia la moltitudine a cercare di liberare un solo invasato: la ricerca dell'armonia, dell'equilibrio assoluto, che scaturisce dall'incontro fra esorcista-sciamano e posseduto.
Questo avviene attraverso la musica, che poi altro non è se non una espressione artistica, tanto è che "L’uso del suono, del ritmo, della vocalità ha accompagnato spesso le attività di cura e guarigione nelle tradizioni di molti popoli. Nello sciamanesimo artico, come nei riti amazzonici, il suono della voce, la melodia del canto e il ritmo della musica producevano effetti sui “pazienti”, così le percussioni nell’Africa nera o la pizzica nel fenomeno del tarantismo salentino si avvalgono di ritmi sincopati e iterativi per agire su fenomeni patologici di malessere o di disagio psichico", come recita l'incipit "Dalle tradizioni popolari alle terapie del futuro".
In molti riti, per allontanare gli spiriti del male si causava un gran baccano, anche "percuotendo l'aria con dei bastoni", per utilizzare James Frazer, ma si pensi anche al tarantismo, al battere incessante e ritmato dei tamburelli. Questa pratica è già attestata in una delle prime tracce scritte sulla tarantola e risalente al XII secolo, quando Alberto di Aquisgrana dice che "i Cristiani impararono anche dagli abitanti del luogo che dovevano battere le pietre con colpi frequenti o procurare altro rumore percuotendole sugli scudi così che i serpenti venissero spaventati da questo strepito e i compagni potessero così riposare tranquilli"; Era forse una prima forma di musicoterapia per liberarsi dalle "Tarenta"?».
(7) Ma si pensi che il primo scratch in dialetto salentino è presente già in Fuecu, effettuato da Dj War su un brano del Canzoniere Grecanico.

(8) Cito Treble in Reggae Internazionale (1992).

mercoledì 2 settembre 2015

Se la taranta non morde e non è un ragno /// apparsa su Nuovo Quotidiano di Puglia del 01/09/2015


Se la taranta non morde e non è un ragno
apparsa su "Nuovo Quotidiano di Puglia" del 01/09/2015

Solo oggi si scopre la verità sul morso del ragno, o meglio si scopre ciò che non è il tarantismo, non legato al morso della tarantola che, a sua volta, non è un ragno. Insomma: è solo credulità popolare, tradizione.
Lo scopriamo perché uno spot di due minuti ha fatto indignare Eugenio Imbriani, antropologo e docente di Unisalento, un buono dal carattere mansueto, a tal punto da fargli rassegnare le dimissioni da membro del consiglio scientifico della Fondazione Notte della Taranta.
Ma più osserviamo il video e più ci pare che questo sia stato utilizzato come pretesto per rendere pubblico uno stato, uso le parole del presidente del comitato scientifico Sandro Cappelletto, di disagio che il Consiglio vive da tempo, ed ecco allora che la sensibilità del professore “è stata ferita dalla banalità di una ricostruzione inaccettabile - sempre parole del Presidente.
Ora, come tutti sanno, Sandro Cappelletto è un giornalista di chiara fama, pertanto se parla di banalità” nella ricostruzione non si può che prenderne atto, dato che egli, evidentemente, utilizza come metro di giudizio i suoi originalissimi saggi sul tarantismo che, ce ne dispiace, non abbiamo  mai incrociato in venti anni di ricerca (e divulgazione) sugli usi, i costumi, le superstizioni di Terra d'Otranto, quindi tanto di cappello.
Siamo un po' in disaccordo quando qualifica quella ricostruzione inaccettabile, e basta guardare il filmato, che non aveva alcuna pretesa scientifica, per rendersene conto.
Chiediamo quindi, tanto all'accademico risentito quanto al divulgatore critico, se i tre anziani sbagliano quando affermano che la taranta non è una danza, non è una musica, ma è un ragno. Crediamo di no; è semplicemente la banalità” tradizionale che li spinge a ribadire ciò che sempre hanno vissuto - sembra essere tornati indietro, ai tempi degli uomini con lanello al naso da una parte e i colti stranieri di provincia dall'altra - ma lo insegna anche la storia, ed in particolare Goffredo di Malaterra (operante alla fine dell'XI secolo) in quella che è considerata la prima testimonianza scritta nella quale si descrive il ragno: Taranta quidem vermis est aranea speciem habens (La tarantola è un verme che ha l'aspetto di un ragno). In questo c'è stata una mancanza del regista, ci scusiamo noi per lui, che di sicuro la prossima volta, per dare maggiore autorevolezza allo spot, chiamerà qualcuno che parli latino, magari un docente universitario, non si sa mai che riesca qualcosa di accettabile agli occhi degli specialisti, ma solo ai loro.

Dopo gli eretici anziani c'è il nostro intervento che recita: Secondo la tradizione, chi veniva morso dal ragno, per curarsi, doveva danzare di modo che sudando potesse espellere il veleno dal corpo.
Non si può mettere in dubbio che fosse una credenza rinomata leggasi tradizione, uso, costume - che si dovesse ballare (o comunque provocare sudore) per espellere il veleno dal corpo: lo scrive sempre Malaterra (clibanica, o cura del forno caldo) e lo fa intendere anche Alberto di Aquisgrana: l'uomo punto (per rimediare al morso del serpente-Tarenta) doveva giacersi senza indugio con una donna, e viceversa, poi si potrebbe continuare citando il Mattiolo, e tanti altri ancora (o forse si tifa per la cura esattamente opposta, quella proposta dal Mercuriale, il quale consigliava di legare il malcapitato con funi?) ma si rischia di non uscirne più e di annoiare il lettore.
Se poi si vuol parlare di altri tipi di avvelenamento e di altre terapie ci piace rimandare agli articoli apparsi su questo Quotidiano la scorsa estate.
Insomma, si è preferito dare un taglio storico/tradizionale piuttosto che antropologico, senza avere la presunzione che un approccio sia superiore allaltro, soprattutto in una clip di due minuti, nella quale non c'è il tempo per filosofeggiare sul tutto e sul niente, spingendosi ad analizzare i legami coi riti delle antiche civiltà del Mediterraneo, facendo poi un volo nel Baltico o altro ancora quello al massimo si scrive negli articoli scientifici, che leggeranno in pochissimi ma faranno far carriera, o nei libri che si trovano nelle librerie delle persone comuni (banali?), che non fanno far carriera accademica ma danno altri tipi di soddisfazione, non ultima quella di poter parlare/scrivere alla pari.

Infine l'intervento di Antonio Durante, direttore del Museo di Storia Naturale del Salento con sede a Calimera, per il quale il tarantismo non è provocato dalla tarantola ma dalla vedova nera, è ovvio che parli da zoologo, non da etnomusicologo o antropologo.

Quindi, nel videoclip nulla per cui ci si debba far cadere le braccia, tanto da rassegnare le dimissioni, ed infatti Eugenio Imbriani non si avvale della fonte "banale e inaccettabile" (ma originale, ossia il sito della Notte della Taranta) ma ritiene opportuno richiamarsi  superficialmente, e questo mi pare quantomeno inusuale per chi ha fatto della ricerca il suo vivere quotidiano, un link esterno nel quale male si interpretava il significato del video.
Ci dispiace, dunque, che sia bastato così poco perché fosse presa una scelta probabilmente irrevocabile, e che un buono dal carattere mansueto abbia contestato ciò che non poteva essere contestabile, dopo che in 18 anni di Notte della Taranta (da tanto esiste il festival) non abbia mosso neppure una critica velata ad un sistema che piace a pochi e che non ha prodotto quanto si sperava, nonostante gli si fosse conferita autorevolezza accademica. Mentre per due minuti di video, non proprio un colossal, attacca tutti. Per non attaccare nessuno.

Per concludere chiediamo all'accademico risentito ed al divulgatore critico: se il tarantismo non è legato alla taranta, e se questa non è un ragno, in cosa abbiamo creduto fino ad oggi (oppure, in cosa abbiamo investito i nostri soldi)?

federico capone





lunedì 17 agosto 2015

TERRAMIA di TrebleLuprofessore. Impressuoni personalissimi.


TERRAMIA di TrebleLuprofessore. Impressuoni personalissimi.





“E' criminale, chi va contro chi vuole solo difendere,
la terra dei padri e dei figli che no non si vogliono arrendere”

"Terramia", di Antonio Petrachi aka TrebleLuProfessore, è un brano destinato a lasciare il segno nella storia della musica di Terra d'Otranto per il messaggio che porta, e per il modo.

Terranostra
Il titolo affascina perché include: "Terramia" - pur essendo la descrizione di un Salento visto con gli occhi di Treble – diviene di ognuno di noi, quindi terra nostra, e ne apprezziamo subito la reciproca appartenenza; basta questo per farci sentire in dovere di difenderne i luoghi e le civiltà da attacchi mossi dall'esterno ma, anche e soprattutto, dalle baronie locali, dalla mafia e dai politici che, da sempre, "nu su boni".
Sintetizzando, il merito primo di LuProfessore è quello di coinvolgere l'ascoltatore rendendolo partecipe di una visione personale che diviene collettiva. 

Il primo ascolto e i successivi
La maturità musicale (ma non avevamo bisogno di conferme, data l'autorevolezza) si fa valere nell'immediato, tant'è che il brano suona bene fin da subito. All'esperienza, che si acquisisce col tempo,  si affianca la bravura, che è una dote innata e vien fuori agli ascolti successivi, che non stancano mai ed anzi stimolano mente e coscienza ed è allora che il messaggio, mai urlato, prevale prepotentemente sul resto.

La poesia sta nel luogo, e nelle parole
Se il Salento è una terra ricca, Roca con la Poesia, lo è ancor di più: qui infatti accade qualcosa di raro: materiale e immateriale si fondono, superando il concetto di patrimonio economicamente inteso e trasformandosi in qualcosa di magico, di indefinibile: miglior set per una terra che è luogo e storia, non poteva che essere questo.
Ma nella "finzione" cinematografica si ha la possibilità di intravvedere altro: il futuro nelle mani di un bambino.

Il Video
Il video, pur essendo parte integrante del brano, merita una lettura a parte che spero coincida almeno minimamente con quelle che erano le intenzioni di autore e regista quando hanno scritto la sceneggiatura che ha, di fondo, due protagonisti-antagonisti, il bene e il male:
1) Il tubo, nell'immaginario collettivo locale così come nel video, assume una connotazione negativa, anche quando è portato a spalla, quasi se ne stessero svolgendo le esequie, richiama momenti tristi, legati al rito funebre. Ma noi non siamo, per scelta, né suoi amici né suoi famigliari, pertanto, quand'anche fosse, non ci strapperemmo i pochi capelli rimastici per il dolore.
Una veste decisamente più cattiva la indossa, il tubo, quando con violenza distrugge il castello di sabbia costruito dal bambino, cominciando a minare la parte più debole (solo apparentemente, poi vedremo perché) di un territorio che, se non ha radici profonde e fondamenta solide, è destinato ad essere distrutto da chi viaggia nel mondo del business.

2) Il bambino rappresenta invece il futuro benevolo e forte e salvifico, in poche parole “i figli che non si vogliono arrendere”; a questo punto bisogna soffermarsi un attimo su una porta che, chiudendo lo sguardo all'orizzonte e quindi alle speranze, gioca anch'essa un ruolo centrale nella sceneggiatura, poiché rappresenta il futuro, fatto in un primo momento di tubi e miss, ma chiuso a chi lotta. Se fossimo un popolo di lagnoni, il bambino, dopo aver visti distrutti i suoi sogni di sabbia ed e trovandosi di fronte una porta chiusa, quantomeno si sarebbe dovuto scoraggiare. Invece c'è un significativo finale: il nostro piccolo eroe spunta da dietro quella porta, aprendola a chi lotta e quasi ad invitare tutti noi più grandicelli, ribadendo con forza che il futuro, anche il nostro, è loro: dobbiamo combattere e difenderli, perché lasceremo loro ciò che siamo, nelle loro mani il nostro essere.


domenica 28 giugno 2015

Tarantismo e possessione.

Tarantismo e possessione (1)
Ricondurre le cause del tarantismo esclusivamente a ragioni di disagio economico e sociale delle popolazioni del Meridione medievale è antistorico e riduttivo. Abbiamo notizie certe, dal secolo XI, dell’esistenza del fenomeno da Palermo a Sidone, sappiamo che ha colpito indifferentemente uomini e donne, di qualsiasi età.
La mancanza di dati antecedenti all'undecimo secolo potrebbe far supporre che tale fenomeno sia nato nel basso medioevo, ma c’è qualcosa che non quadra: perché il cristianesimo, che all'epoca affermava la sua potenza temporale (muovendo guerra ai musulmani e promuovendo crociate), si sarebbe accontentato di integrarsi in una pratica pagana, conservandone intatti, o quasi, tempi e modi di cerimonia? Non sarebbe stato più facile scontrarsi frontalmente coi poveri, incolti e credenzoni contadini salentini e spazzare via tutto?
Perché replicare in Terra d'Otranto, a distanza di circa mille anni, il “metodo maltese” di paolina memoria, (ri)scomodando l’apostolo delle genti? Tutto ciò suona stravagante, e pensiamo che un’altra verità si possa trovare comparando le numerose corrispondenze fra i fenomeni di possessione temporanea delle civiltà primitive e gli effetti causati dal morso del ragno nell'area meridionale d'Italia.
Il tarantismo come fenomeno di possessione temporanea indesiderata. Se il presupposto non è errato, e i dati non ci ingannano, possiamo asserire che “il tarantismo è un fenomeno di possessione indesiderata e temporanea, che si manifesta ciclicamente, fino a quando il medium (tarantola) che ha causato la possessione, che coincide poi con lo stesso spirito malefico, non muore fisicamente. Solo a questo punto il posseduto è definitivamente libero.
Tipi di possessione. I tipi di possessione sono generalmente due: desiderata o indesiderata. Nel primo caso, la possessione è ricercata e indotta, spesso, dal posseduto stesso e si pone come scopo principale quello di contattare una entità superiore, portarsi dunque ad uno stato piacevole, elevarsi.
Nel secondo tipo di possessione, quello che noi analizziamo, indesiderata, non c’è piacere né convenienza nel «farsi possedere», poiché, sovente, è uno spirito malefico ad impadronirsi del corpo del prescelto.
Durata della possessione. La durata della possessione può essere permanente o temporanea e riveste, anche questa, una certa importanza; nel tarantismo, il fenomeno è temporaneo ma ciclico, ripresentandosi di anno in anno nel posseduto e, di anno in anno, questi necessita di un rito di liberazione che diviene definitiva solo quando il medium/spirito muore.
La centralità del medium. Il medium riveste, manco a dirlo, un ruolo centrale nel discorso che affrontiamo: esso coincide, infatti, con lo spirito che si è impossessato dell’uomo e quest'ultimo, identificandosi con la tarantola, sarà nel contempo posseduto e possedente. Per tradizione, la liberazione totale si ha solo nel momento in cui si spezza la catena, ossia muore/si ammazza/si scaccia il medium/tarantola.
Focalizziamo ora la nostra attenzione sul medium.
Nelle società arcaiche non è raro considerare l’animale pari o superiore all’uomo (sarà un retaggio primordiale -?-). Questo fatto ha una ricaduta importante sul rapporto essere umanoanimale: è così che l’animale, diviene un simbolo talmente temuto e rispettato da non poter essere sfidato o ucciso, la sua vita è sacra, come e più di quella dell’uomo: uccidendo o molestando anche un solo animale sacro (se non per stretta necessità), si rischierebbe di suscitare l’ira di tutti gli appartenenti alla specie e, se esso è mezzo attraverso il quale uno spirito si manifesta, ne scatenerebbe l’ira.
Legame fra lo spirito il medium, l’uomo e… la società. Espulsione definitiva del male. Questo legame fra possessore e posseduto è ulteriormente rafforzato dal fatto che l’invasato, in un processo di imitazione, prova fastidio per i colori che disturbano (o identificano) il medium/spirito, talvolta ne assume lo stato d’animo (malinconico, felice) e, altre volte ancora, può provare fastidio o piacere nel contatto con l’acqua…
Per espellere il male è necessario celebrare una funzione che vuole la presenza e la partecipazione di molte persone che “percuotendo l’aria” e causando frastuono spaventino gli spiriti facendoli fuggire (dopotutto non si dovevano battere le pietre – a tempo -, secondo Alberto d’Aquisgrana, per spaventare i serpenti chiamati tarenta, in quel di Sidone?).
Ciclicità del rito. Se il medium coincide con lo spirito (possessore), cosa ci vieta di supporre che il posseduto non simboleggi la società di appartenenza/provenienza? E la liberazione del singolo non convergerebbe dunque con l’espulsione del male dalla società?
Di solito questi esorcismi si svolgevano due volte l’anno, nell’imminenza del cambio di stagione (le stagioni erano composte fondamentalmente da due cicli delimitati dai solstizi). Nel Salento il rito legato al tarantismo avviene in prossimità del solstizio d'estate a nostro avviso perché, nei mesi successivi, da luglio a novembre il lavoro nei campi avrebbe assorbito buona parte della giornata, fra raccolta e preparazione, ed era più facile imbattersi in rettili o ragni velenosi.
Ecco secondo noi il senso del rito del tarantismo: espellere il male dal singolo per allontanare il male dalla società, che vuol poi dire scacciare il ragno dai campi perché il lavoro si possa svolgere con serenità.

28 giugno 2015

(1) Queste note sono ancora oggi da approfondire. 

sabato 14 marzo 2015

Scuola, reclutamento e meritocrazia.

In Italia pare che tutto si basi sulla “meritocrazia”, considerandola un bene, e questo anche nella scuola. 
Fa nulla se poi si ha un effetto forbice destinato ad ampliarsi fra i pochi che hanno il posto fisso assicurato –senza oneri e senza onori, in verità– e i tantissimi precari che lo desidererebbero –e nel frattempo non godono di alcun diritto lavorativo–. E che dire poi della lontananza siderale della scuola dal mondo reale? non ci sono i fondi per assumere, figurarsi per la tecnologia... meglio che l'alunno formi da sé una “coscienza digitale” (i risultati li vedremo fra qualche anno), dato che non c'è tempo per insegnare come utilizzare Internet per sviluppare temi più complessi che non si limitino alla ricerca e alla consultazione della prima voce che appare su Wikipedia.
L'importante è che ci sia la “meritocrazia” nella scelta degli insegnanti, dopo la discrezionalità del preside. 

Pazienza se questo termine, fra giri, rigiri e interpretazioni buoniste, sia tornato ad avere la sua accezione originale (negativa). Illustriamone brevemente i passaggi:

1) Apprendiamo da Internet che il termine fu coniato nel 1958 da Michael Young. Egli gli attribuisce (come noi, ma per motivi diversi) un significato negativo. La giustificazione che egli dà non è però supportata da dati reali, almeno in Italia. Egli crede che non tutti nascano con lo stesso quoziente intellettivo e che, in prospettiva futura, la posizione sociale dell'individuo potrebbe essere determinata a seguito della valutazione delle capacità intellettive e l'impegno dello stesso -sul dizionario Treccani: "... le cariche pubbliche (secondo il principio di meritocrazia, ndr) dovrebbero essere affidate ai più meritevoli, ossia a coloro che mostrano di possedere in maggior misura intelligenza e capacità naturali, oltreché di impegnarsi nello studio e nel lavoro"-. Osservandoci attorno è facile però ribaltare questa strana idea di Young e infatti, anche quando il Q.I. risulta basso, non vi è la conseguente ed automatica emarginazione dai posti “di amministrazione” della società (solitamente è il contrario, le marionette non pensano, eppure occupano ruoli centrali nel teatrino...);

2) Avviene poi il primo ribaltamento e la “meritocrazia” assume un significato positivo, pertanto, in uno Stato buono, i ruoli sociali più importanti sono scelti “per merito”: se uno è “bravo" governa, se è "meno bravo" no. I giudici sono sempre i migliori dei migliori (amici dei buoni che diverranno migliori). I sostenitori di questa buffa teoria, fino ad oggi solo in ambito accademico, hanno già una cattedra garantita dal papà ambasciatore, onorevole o rettore (fra i figli di rettori non ce ne è uno tonto, il 90 per cento... diviene docente universitario…) chi, insomma, non sente la necessità di domandarsi come si può essere "bravi" nascendo in una famiglia di tre figli, coi genitori di disoccupati (o monoreddito) che non hanno la possibilità di mantenere prole o al contrario (ma questo valeva fino a quando il lavoro c'è stato per tutti) con padri e madri occupati per 24 ore al giorno per cercare di sbarcare il lunario, e che quindi non hanno la possibilità per star dietro ai bambini ugualmente. Ma sono sottigliezze, andiamo avanti e arriviamo ai giorni nostri.

3) Oggi la "meritocrazia", dopo aver trovato adepti fra i baroni accademici o aspiranti tali, sbarca tout-court nelle scuole e per insegnare... bisogna avere un ampio curriculum, quindi essere valutati da un preside (o viceversa, essere valutati da un preside ed avere un curriculum), magari un vicino di casa. A dirla tutta, questa buffonata dei curricula e della chiamata diretta è già stata ampiamente testata nella scuola pubblica con i PON lì, infatti, non vinceva sempre il “migliore”, poiché, a parità di competenze (talvolta inventate, in un PON si richiedeva addirittura una laurea in un corso inesistente in Italia), l'insegnamento andava a chi aveva già avuto esperienze precedenti (esperienza e competenza, principi cardine dell'idea di meritocrazia, per cui chi è fuori dal mondo del lavoro è destinato a rimanerci, poiché non avrà mai i requisiti richiesti). Ecco allora che la "meritocrazia" getta giù la maschera e mostra il suo lato peggiore: senza neppure bisogno di ricorrere alle farse dei concorsi universitari i presidi potranno assumere direttamente chi vogliono, secondo le proprie necessità. Per una supplenza? per un insegnamento? non è dato sapere, nulla è certo, se non che ciò che vogliono è che si vada a chiedere l'elemosina.

mercoledì 11 marzo 2015

La scrittura e la macchina ai tempi dell'uomo (di ieri, di oggi e) di domani

La scrittura e la macchina
ai tempi dell'uomo (di ieri, di oggi e) di domani

ci pensino i bancari che allo sportello avvisano il cliente
che c'è la macchina automatica per i versamenti...

Il computer a scuola per svolgere un tema d'italiano o tradurre una versione di latino
Di tanto in tanto mi domando cosa si veda di strano anche nella sola proposta di acconsentire all'utilizzo del computer a scuola per svolgere un compito in classe, magari discutere un tema di italiano o tradurre una versione di latino. Raramente, nella storia è stato il mezzo in sé a fare la differenza e, di certo, non l'ha mai fatto quanto l'abbia potuta fare l'umanità.
Una volta era vietata la calcolatrice se prima non s'imparava a conteggiare col pallottoliere, eppure oggi in pochi perdono tempo a far di conto a mano. Non gli studenti delle scuole medie, non gli scienziati; è, in un caso e nell'altro, più comoda e puntuale una calcolatrice. E nessuno per questo si lamenta.
Egual discorso dovrebbe valere nel rapporto fra computer e scrittura. La comodità sta, specificatamente, nell'evidenziatore automatico di parole non riconosciute e refusi e ripetizioni, nell'avere a portata di tasto destro di mouse suggerimenti, sinonimi, contrari e, ancora, nella possibilità di consultare l'immensa banca dati che è Internet che, se utilizzata come si deve, consente, avendone voglia e tempo, di scovare e riportare con precisione certosina autori e referenze bio-bibliografiche, facendo riferimento all'edizione principe. Ciò non toglie che bisogna prima studiare sull'abecedario che, come l'abaco per la matematica, è uno straordinario strumento che insegna a pensare (metodo), regalando umanità ad un procedimento altrimenti asettico nello sviluppo e nel risultato.
Il metodo (pensiero) allarga gli orizzonti e consente di scrutare oltre gli ordinari scenari che, per quanto riguarda il mondo della scrittura e del libro non si concludono nello scontro, fra l'altro già passato, fra i sostenitori del libro cartaceo e quelli del supporto digitale.

Quando la realtà supera la fantasia
In futuro la scrittura, intesa come conseguenza di un pensiero meditato e fissato su un supporto, svolgerà un ruolo sempre più marginale, e la tecnologia, rispondendo ad una ben precisa richiesta economica - la stessa che allunga la vita dell'uomo per spremerlo meglio - consentirà, con istantaneità, a "far rimanere" ciò che prima era destinato a "volare".
I lati positivi saranno tanti, soprattutto se pensiamo a chi oggi, per natura o per fato della vita, non ha facoltà di scrittura con gli arti.
Sarà affiancato, a questo processo di impressione sotto dettatura, un filtro (applicazione, programma) in grado di tradurre simultaneamente il nostro verbo, per cui se avessimo bisogno di comunicare un cinese, dovremo semplicemente prenderci la briga di parlare nella nostra lingua nativa. E viceversa.

Brain to paper. Ossia dal pensiero al supporto
Successivamente il parlare per scrivere sarà sostituito dalla trascrizione tramite impulsi cerebrali, e sarà il pensiero ad essere ridotto graficamente e, anche in questo caso, si avranno benefici indubbi in ambito medico.
Ma macchine e tecnologie diverranno di uso comune, per cui il gesto grafico verrà a mancare del tutto e l'inchiostro della penna (ammesso che qualche legge non ne limiti l'utilizzo prima, considerandolo inquinante o dannoso per la salute) non sarà più il sangue del cervello (cit. G. U.), ma si avrà un diretto passaggio dal cervello al supporto (ossia brain to paper).
Non è nostro compito dare una lettura positiva o meno di tali cambiamenti, che sono ineluttabili e irreversibili - e che fra l'altro si sono già realizzati con tempi più dilatati quando si è passati dall'incisione su pietra alla scrittura su papiro alla stampa a caratteri mobili al desktop publishing - ma una cosa, riguardo le ricadute sociali è prevedibile: avendo tutti la possibilità di fissare la loro parola in una qualsiasi lingua, si andrà verso un codice universale, con un vocabolario sempre più immediato e livellato.

Quale futuro (divagazioni sulle macchine e i potentati economici)
La semplificazione è conveniente per i grandi potentati economici che, oltre a lanciare un unico messaggio valido per tutti, potranno risparmiare investendo in macchine (e quindi meno manodopera, ci pensino i bancari che allo sportello avvisano il cliente che c'è la macchina automatica per i versamenti...). Nel mondo ci saranno sempre più spazi perché la popolazione è destinata a decrescere (non c'è lavoro, non si fanno figli) e quindi i pochissimi imporranno le loro regole sui pochi, creando lavoro selettivo e a basso costo.
Torniamo al discorso principale. In una prospettiva di codificazione unica si può intravvedere già da ora l'interdipendenza fra l'uomo (che abbasserà il proprio peso sociale) e la macchina (che pur restando ferma, invece, il proprio peso sociale lo alzerà).
Ci sarà così più tempo da re-investire… in lavoro a basso prezzo.

Paradossale il risultato
In un mondo digitale la macchina e l'uomo saranno pari. E la scrittura, intesa come conseguenza di un pensiero meditato e fissato su un supporto, si diceva, svolgerà un ruolo marginale.
Ma tutto ciò non deve rammaricare: anche domani (come oggi e come ieri), ma in un mondo forse un po' più "piatto", a fare la differenza non sarà il mezzo ma ciò che il risultato finale riuscirà a trasmettere in termini di umanità.

Un paragone architettonico
Un paragone architettonico si potrebbe azzardare: ciò che resta non sono i prefabbricati abruzzesi, ma i templi della Valle in Sicilia, il Partenone di Atene, il Colosseo di Roma e le chiese e le moschee. Tutto ciò che insomma trasuda modi di lodare e di vivere, pensiero e fatica.
A prescindere dal mezzo.

Quesito
La domanda non è "come hanno fatto a costruirlo?" ma "come hanno fatto a pensarlo?".

Il supporto avrà la sua importanza
E il supporto? Anche quello avrà la sua importanza. Il libro cartaceo diverrà raro. Cominciate a collezionarlo ed a custodirlo come si deve. Per il bene dei vostri pronipoti. Per rispetto verso i vostri avi.


Spero sia stato comprensibile. Lecce, 11/03/2015