giovedì 24 ottobre 2013

IL MORSO DEL RAGNO, di Maurizio Nocera / / / In stampa la seconda edizione


Maurizio Nocera, Il morso del ragno. Alle origini del tarantismo e il mondo del fenomeno vissuto dall’interno. Interviste a tarantate e parenti, Introduzione di Gilberto Camilla, Prefazione di Georges Lapassade, Postfazione di Carl A. P. Ruck e Blaise D. Staples, 3° volume della collana “La terra e le storie”, diretta da Antonio Errico e Maurizio Nocera, Capone Editore, Lecce 2013
Pagine 152, € 10,00
ISBN: 978-88-8349-182-5

Il libro: Il tarantismo è un fenomeno ancora poco conosciuto. Volta per volta, sono stati indicati, come fattori scatenanti, o le condizioni psichiche delle persone coinvolte, o le condizioni sociali, oppure problemi legati alla sfera magico-religiosa, fattori che, comunque, indipendentemente dalla motivazione da cui sono scaturiti, hanno avuto un fondamento.
In questo volume, il tentativo dell’Autore consiste nel cercare di rintracciare, attraverso delle interviste a persone coinvolte direttamente nel fenomeno e attraverso una nuova lettura della vasta bibliografia specifica, quali possano essere state le cause dello scatenamento di un così radicato e millenario fenomeno.
Melfi (Pz), Museo Archeologico Nazionale,
vaso apulo-lucano di età ellenistica
raffigurante una Menade che "sfugge" a Dioniso
L’Autore: Maurizio Nocera (1947), ha pubblicato: (con A. L. Verri)Dieci anni in rivista 1979-1988. Lettere a “Pensionante de’ Saraceni” (Matino 1990); Antonio Antonio. Fabbricante d’armonia (Melpignano 1998); Compianto (Carpignano Salentino 2001; seconda ediz. Alpignano 2005); Totò Franz altrimenti detto Totò Toma (Castrignano dei Greci 2002); Il fanalista d’Otranto (Gallipoli 2003); Antonio Antonio o dell’Amicizia (Parabita 2003); Figli, vostro padre uccidete / La lama del tenente (Copertino 2004); Crepuscolo nel mare di Gallipoli (Gallipoli 2004); Profilo di don Pablo (Alpignano 2012); Giuseppe Forcignanò. Tirai su di lei per troppo amore (Pieve Santo Stefano 2013).

Chianciano Terme,
vaso raffigurante una scena di pizzica
Prefazione, di Georges Lapassade: Maurizio Nocera è da tempo uno dei principali animatori del neo-tarantismo salentino, la cui sorgente principale resta l’opera classica di Ernesto de Martino: La terra del rimorso. Questa opera, divenuta uno dei classici dell’antropologia contemporanea, in effetti ha avuto un destino paradossale: allorquando essa annunciava la probabile fine del tarantismo classico (vale a dire l’elemento essenziale della terapia tradizionale dei tarantolati), da lontano andava crescendo l’attuale corrente del neo-tarantismo, oggi molto affermata a Lecce e nell’intero Salento. Questo neo-tarantismo in effetti si alimenta del ricordo del tarantismo d’altri tempi, facendo spesso rivivere in molte feste e in altre manifestazioni la dimensione musicale, corale e orchestrale. Allo stesso tempo ciò ha dato impulso a molte altre manifestazioni e soprattutto a pubblicazioni dedicate a queste antiche pratiche.
La presente opera di Maurizio Nocera s’inscrive in questa corrente culturale, e in più parti è arricchita di nuovi apporti come, ad esempio, l’intervista a Luigi Stifani, divenuto noto in quanto musico-terapeuta di Maria di Nardò e spesso citato da Ernesto de Martino. L’opera di Maurizio Nocera costituisce così un contributo di primo piano a questa corrente culturale molto ricca che va a formare l’identità collettiva di questo Salento a volte assai differente da quello che Ernesto de Martino descrisse nel 1959 e pur tuttavia ugualmente fedele a ciò che era stato anticamente.
Il contributo di Maurizio Nocera prende così il suo posto a volte molto erudito nel panorama delle opere che ricostituiscono ciò che un tempo è stato in questo Sud d’Italia e di quelle – come d’altronde spesso accade anche altrove! – che producono la sua nuova identità. (Parigi, 29 marzo 2005)

Con i contributi di:

Gilberto CAMILLA, nato a Torino nel 1950; storico, ricercatore e psicoanalista, ha esercitato la professione di psicoterapeuta fino al 1992. Tra i fondatori della Sissc, ne ricopre attualmente la carica di Presidente. Direttore Scientifico della rivista «Altrove» fin dal 1994, è autore di libri e di svariati articoli e contributi vari. Fra tutti si ricordano: Allucinogeni vegetali. Culto antico e moderno uso ricreazionale, Verona,1982; Hofmann, Scienziato Alchimista. Tributo allo scopritore dell’Lsd, Roma, 2001; Psicofunghi italiani, Roma, 2003; Le Piante Sacre. Allucinogeni di origine vegetale, Torino, 2003. (Con Fulvio Gosso) Pionieri della Psichedelia, Torino, 2004. (Con Massimo Centini) Sciamanismo e Stregoneria, Torino, 2005. (Con Fulvio Gosso) Allucinogeni e Cristianesimo. Evidenze nell’arte sacra, Paderno Dugnano (MI), 2007. L’Arte visionaria huichol, Torino, 2007. (Con Fulvio Gosso) Hanno visto migliaia di dèi. Religiosità e laicità dell’esperienza visionaria, Paderno Dugnano (MI), 2009. Chi era Dioniso?, Torino-Salerno, 2013.

Georges LAPASSADE (Arbus, 10 maggio 1924 – Stains, 30 luglio 2008), filosofo e sociologo francese. Professore e ricercatore emerito di Etnografia e Scienze dell’Educazione presso l’Università di Parigi VIII, dove ha lavorato e organizzato seminari fino agli ultimi anni della sua esistenza. È una delle figure più importanti della psicosociologia, dell’etnologia e della pedagogia. Ha introdotto in Francia l’etnometodologia. Fu il primo sociologo francese a studiare il rap a partire anche dall’osservazione del fenomeno manifestatosi a Lecce. Era considerato, con René Lourau, uno dei padri dell’analisi istituzionale. Autore di numerose opere sugli stati modificati di coscienza, nella sua lunga carriera si è occupato delle culture nordafricane e afroamericane, con particolare interesse per i temi della transe. In Italia, Georges Lapassade ha lavorato sulla pizzica e il tarantismo. Il suo primo libro L’entrée dans la vie, fu pubblicato nel 1963 (tradotto in Italia nel 1971 da Sergio de La Pierre con il titolo Il mito dell’adulto). Le edizioni Urra-Apogeo hanno ripubblicato, nel 2008, Dallo sciamano al raver. Saggio sulla transe uscito in prima edizione presso Feltrinelli nel 1980. Importante il suo contributo scientifico al Salento dove, a partire dal 1981, ha lavorato in diverse esperienze sia con l’Università sia con altri enti e gruppi di studio. Oltre alle numerose introduzioni ai libri di autori salentini, molti sono stati i suoi saggi sui movimenti sociali e culturali della terra che lo ha ospitato. Un più completo ricordo di G. Lapassade sta nel libro All’ombra di Georges Lapassade. Testimonianze e aneddoti dal Salento (a cura di Guglielmo Zappatore), Sensibili alle foglie, 2009.
Carl Anton Paul RUCK, nato a Bridgeport (Connecticut) nel 1935, è uno dei maggiori conoscitori della Letteratura antica e uno dei più apprezzati filologi statunitensi; insieme a Robert Gordon Wasson e ad Albert Hofmann ha aperto un nuovo capitolo della storia dell’etnomicologia, un capitolo fondamentale per capire la religione dell’antica Grecia. Tutto incominciò quasi quarant’anni fa, nell’ottobre del 1977, quando nel corso della II Conferenza Internazionale sui funghi allucinogeni (Fort Worden, 27-30 ottobre) venne presentata per la prima volta l’ipotesi lisergica come interpretazione dei Misteri Eleusini, a firma appunto di Wasson, Hofmann e Ruck. Instancabile e attento osservatore del simbolismo nel mondo classico e nel Cristianesimo delle origini, proprio a lui si deve il neologismo enteogeno oggi entrato nel linguaggio comune per definire le piante sacre (allucinogene), ottenuto dalle parole greche entheos e genés, “che manifesta il dio interiore”. Conosciuto in Italia, avendo spesso collaborato con la Sissc partecipando a numerosi suoi Convegni e con contributi scritti. Tra i suoi lavori sono da segnalare: The Road to Eleusis: Unveiling the Secret of the Mysteries (con R. G. Wasson, B. D. Staples e A. Hofmann), Harcourt Brace Jovanovich Pub. N.Y. 1978. (Edizione italiana Alla scoperta dei Misteri Eleusini, Milano 1996); Persephone’s Quest: Entheogens and the Origin of Religion (con R. G. Wasson e altri Autori), New Haven, 1986; The Apples of Apollo: Pagan and Christian Mysteries of the Eucharist (con C. Heinrich e B. D. Staples), Carolina, 2001; Sacred Mushrooms of the Goddess, Berkeley, 2006. In italiano: Vischio, Centauri e Datura (con B. D. Staples), in Eleusis (nuova serie) n. 2, 1999; Perseo, il raccoglitore di funghi (con C. Heinrich e B. D. Staples), in «Eleusis» (n. s.) n. 2, 1999; Giasone, l’Uomo-Droga (con C. Heinrich e B. D. Staples), in «Eleusis» (n. s.) n. 3, 1999; Mescolando il kikeon (con P. Webster e D. M. Perrine), in «Eleusis»  (n. s.) n. 4, 2000; Sacramenti visionari eretici nell’élite eclasiastica: l’altare di Grünewald, in «Altrove» n. 11, 2004; Il Mistero eleusino e la rivoluzione psichedelica, in «Altrove» n. 13, 2007; Prefazione a F. Gosso e G. Camilla, Allucinogeni e Cristianesimo. Evidenze nell’arte sacra, Milano 2007.

Blaise Daniel STAPLES (1948 – 2005), anche se poco noto al grande pubblico, fu uno dei più importanti studiosi di mitologia classica. Nato a Somerset (Massachusetts), si laurea in Lettere alla Boston University, dove ottiene anche il dottorato (Ph. D.) in Studi classici. Nella stessa Università conosce Carl Ruck, che diverrà suo amato compagno fino alla sua prematura scomparsa. Con Ruck è coautore di The World of Classical Mythology: Gods and Goddesses, Heroines and Heroes, uno dei più innovativi studi sulla mitologia greca. Contribuisce anche a The Road to Eleusis: Unveiling the Secret of the Mysteries, con una nuova traduzione dell’Inno Omerico a Demetra. Tra i suoi lavori più importanti sono da ricordare: The Road to Eleusis: Unveiling the Secret of the Mysteries (con C. Ruck, R. G. Wasson e A. Hofmann, 1978); The World of Classical Myth: Gods and Goddesses, Heroines and Heroes (con Carl Ruck, 1994); The Apples of Apollo: Pagan and Christian Mysteries of the Eucharist (con Carl Ruck, 2001); The Hidden World: Survival of Pagan Shamanic Themes in European Fairytales,  (con Carl Ruck, José Alfredo González Celdrán e Mark Alwin Hoffman, 2007.



Indice: Avvertenza; Tarantismo e sessualità, di Gilberto Camilla; Prefazione alla prima edizione, di Georges Lapassade; Intervista a Georges Lapassade; Cosa è il tarantismo oggi, di Piero Cannizzaro; Introduzione alla prima edizione, di Maurizio Nocera; Incantata fui; Santu Paulu miu de Galatina / Se m’à fare la grazia fammela mprima; Io, Luigi Stifani, mi sono miscellato con le tarante; Galatina: ... L’ombelico del Salento; Balla Maria, balla cuntenta, ca stae l’amore tou ca te sona e canta; Santu Paulu benadittu / intra lla manu tegnu scrittu / lu nome de Maria; Mamma, ho fame; Languidezza di stomaco; Sì, figlia mia, ballai per due giorni interi; Quando giungevi al feudo di Galatina, ti facevano scendere dal traino; Forse che la mia sessualità non era giusta; Acasa il tamburello non manca mai; Ste na serpa casarola cu te pozza muzzeca’!; Nella Cappella di san Paolo di Galatina suonando il tamburo rullante; Se nun ci thrrei lu filu a lla taranta, nu nci balla; Francesco De Raho e gli studi sul Tarantolismo; La Tarantella e la follia di Io. Danzando con la Musica del Tempo, di Carl A. P. Ruck e Blaise D. Staples; Testimonianze fotografiche.

martedì 22 ottobre 2013

Ettore Pais, "Donde venivano i Messapi (Μεσσάπιος)?"


Donde venivano i Messapi?*

“[…] Donde venivano i Messapi? Erodoto li faceva venire dal mare e da Creta. Che giungessero dal mare è assai probabile, come vedremo; che venissero da Creta non si può provare. Vi sono tuttavia alcuni fatti che non vanno passati sotto silenzio. In Creta scorreva realmente un fiume Μεσσάπιος; i Cretesi, antichi navigatori, le cui piraterie vengono ricordate nell’Odissea, stando all’antichissimo inno omerico in onore di Apollo Pitio, approdati al golfo Criseo avevano fondato il culto di Apollo Pitio che ad essi si era presentato in forma di delfino; Falanto, l’eroe nazionale dei Messapi ed eponimo della città di Baletum, secondo una tradizione assai antica riferita da Pausania, aveva naufragato esso pure, come i Cretesi di Erodoto divenuti Messapi, nel golfo Criseo ed era stato salvato da un delfino. Tuttavia, secondo il mio modo di vedere, la tradizione dell’origine cretese di questi popoli venne originata da quelle stesse ragioni che dettero occasione al sorgere della tradizione, ricordata del pari in questo luogo da Erodoto, secondo la quale i Cretesi con Minosse erano andati a Camico nella Sicania. Quest’ultima credenza sorse, per quanto a me pare, in seguito alla colonizzazione cretese-rodia di Gela e di Agrigento. La tradizione erodotea, che i Cretesi fa naufragare nel loro ritorno dalla Iapigia (e che anche in ordine cronologico è parallela a quella di Antioco che di Iapige faceva un cretese, nato da Dedalo e da una donna di Creta, venuto dalla Sicilia) rispecchia anche essa la colonizzazione dei Rodî nelle coste della penisola Sallentina e dell’Apulia. E che i Rodî facessero derivare dalla patria loro gl’indigeni che abitavano queste regioni, io trovo naturale e conforme alle consuetudini di altre stirpi. Ciò si spiega forse in seguito ai buoni rapporti che i coloni greci mantenevano con gli indigeni. Allo stesso modo e nello stesso suolo, sorse la leggenda che i Sanniti fossero di stirpe spartana. Tale leggenda, come è noto, era stata creata con fini politici dai Tarentini. Alla stessa maniera, come spiego meglio altrove, particolarmente nell’appendice relativa all’origine della leggenda dei Pelasgi in Italia, gli Achei d’Italia supposero che dall’Arcadia fossero venuti i più antichi abitatori del paese da essi conquistato e colonizzato.
Muro Leccese, mura messapiche
Che i Rodî abbiano poi fatto venire dallo stesso paese tanto i Messapi quanto gli Iapigi, non può recare meraviglia, perché, fra le altre cose, gli antichi Greci non erano né potevano essere buoni etnografi, e perché le ragioni politiche che facevano sorgere tali leggende non permettevano che si badasse a certi scrupoli che nacquero solo più tardi nelle menti dei dotti. D’altra parte somiglianze di costumi devono avere in parte contribuito, in questi ed in simili casi, ad accomunare popoli fra loro diversi. Perciò i nostri Cretesi-Iapigi-Messapi, secondo una tradizione riferita da Antioco, ma che forse deriva dal predecessore di lui Hippys di Reggio, vennero identificati con i Bottiei del golfo termaico. Furono del pari coloni greci, che visitarono od abitarono queste diverse regioni, quelli che accomunarono i Peucezi e gli Enotri, dei quali i secondi non solo abitavano regioni distinte da quelle dei primi, ma erano costituiti da varie genti di stirpe diversa.
Che però i Messapi siano giunti in Italia dalle coste della Grecia Settentrionale a me sembra indichino tre distinte serie di fatti. E in primo luogo i nomi geografici. Il nome Hyria, come quello di Messapia, ricompare, uno accanto all’altro, nella Beozia presso l’Euripo di fronte a Calcide Eubea, ove il monte Messapio sorgeva nelle vicinanze di Hyria; Messapia sarebbe anzi stato il nome arcaico della Beozia, e nelle coste dell’Etolia esisteva pure un lago O‹ràa. Metto per un poco in non cale gli altri nomi geografici della Messapia, che paiono ricomparire sulle coste dell’Etolia e della limitrofa Locride; osservo tuttavia che i Messapi erano una popolazione Locrese nota a Tucidide e che nel limitrofo paese degli Etoli, con i quali i Locresi Ozoli reputavano aver comune le origini v’era la città di Mûtapa che ricorda Mûtaboj il nome dell’eroe eponimo di Metaponto. Tutte queste omonimie possono giudicarsi di poco momento da quei critici, i quali, essendo passati da un eccesso all’altro, non sogliono oggi accordare il benché minimo peso a tali argomenti, ai quali, per il passato o, diremo meglio, sino a pochi decenni fa, si dava invece un’importanza soverchia. Ma nel caso nostro noi ci sentiamo autorizzati a tenerle nel debito conto. Perché un’antica tradizione, che pare derivi da antiche fonti elleniche, faceva di Brentesium o Brindisi una colonia di Etoli guidati da Diomede, perché il culto di questo eroe si trova da epoca assai antica presso le coste dell’Apulia fra i Dauni, infine perché, stando a tradizioni note a Varrone, a Flacco ed a Virgilio, e che derivano del pari, a quanto sembra, da fonti vetuste, i mitici Cretesi che giunsero nella penisola sallentina erano mescolati con Locresi.
E queste tradizioni vengono, alla lor volta, confortate dall’esame dei monumenti. Il Pauli infatti, il quale con molta diligenza ha testé studiati i rapporti tra gli alfabeti ellenici più antichi e quelli usati dalle popolazioni d’Italia abitatrici delle coste dell’Adriatico, è venuto al risultato che, mentre l’alfabeto dei Veneti si riconnette con quello dell’Elide, quello de’ Messapi non deriva, come con il Kirchhoff si soleva ammettere, dall’alfabeto tarantino bensì dal locrese. Ed è oltremodo notevole che il Pauli sia venuto a queste conclusioni indipendentemente dalla tradizione letteraria, che egli non studia e non riferisce, relativa alle origini locresi dei primi abitatori della penisola sallentina. E in pari modo è per noi molto significante il fatto che il Pauli, pur tenendo conto minutissimo ed esattissimo dei nomi veneti e messapici, con l’evidente intenzione di trovare, potendo, punti di contatto, non è riuscito a notare che soli 9 casi di somiglianza o di analogia su 75 nomi veneti rivelati dalle inscrizioni scritte nella lingua di questo popolo.
Vaste, trozzella messapica
Che i primi abitatori della Messapia fossero giunti dalle coste dell’Adriatico, poste di fronte all’Italia, era stato del resto più volte osservato, grazie al confronto, fatto anche dall’Helbig, del nome dei Caoni di Epiro con quello dei Coni di Italia abitatori della Siritide e con quello delle epirotiche Pandosia ed Acheruntia che ritrovansi anche fra i Coni della nostra Penisola. Di questo popolo si trova traccia nelle iscrizioni messapiche, le quali fanno appunto menzione di genti che appartenevano a tale stirpe e che, a quanto pare, ricordano anche i Graicoi dell’Epiro, abitatori della regione posta presso Dodona. Da questi fatti peraltro io mi guarderei bene dal conchiudere che i Messapi, parenti di quelli della Locride, fossero una sola gente con i Coni e con i Graeci; dacché in tempi successivi e tra loro più o meno distanti, dalle coste d’Epiro e dalle terre vicine possono esser giunte in Italia diverse popolazioni, sia pure di stirpe affine.
Dando anzi uno sguardo alla posizione geografica dei Coni della Siritide rispetto ai Messapi, io sarei piuttosto propenso a reputare che l’emigrazione Caonica fosse stata anteriore a quella degli ultimi; non credo però che dalla simiglianza dell’alfabeto locrese con il messapico si possa in alcun modo ricavare un indizio cronologico, dacché nulla vieta pensare che fra i Locresi Ozoli ed i loro coloni siano durate relazioni per lungo e non interrotto tratto di tempo.
Ciò induce a reputare assai probabile la facilità delle relazioni marittime tra la terra d’Otranto e i paesi posti sulle coste del golfo di Corinto, dai quali durante il secolo VIII partirono i coloni che fondarono le città achee d’Italia e quelli che si fissarono a Siracusa. E che a questo movimento coloniale abbiano partecipato anche i Locresi è del resto confermato, nel modo più splendido, dalla Città di Locri Epizefiria posta sulle coste del Bruzzio. Anche Metaponto, stando ad Eforo, sarebbe stata fondata da Daulius tiranno di Crisa, ossia dal signore di una città focese posta proprio ai confini della Locride Opunzia, le cui antichissime relazioni con il culto di Apollo Pitio, che si diceva fondato dai Cretesi, vennero sopra accennate e che, stando ad una notizia, che forse deriva del pari da Eforo, prima del secolo VI sarebbe divenuta opulenta, grazie alle relazioni con la Sicilia e l’Italia.
Museo di Ugento, iscrizione messapica
Metaponto del resto, e già lo avvertì il Mommsen, la città di Metabos, ricorda con il suo nome i Messapi, i quali forse in origine si estendevano sino al territorio di questa città posta ad occidente della penisola sallentina; e ad una estensione maggiore del nome dei Messapi accenna l’Urium posto alle falde del Gargano, e forse anche il nome stesso dei Dauni.
Dauni e Daunia, secondo gli scrittori greci e secondo i romani che da quelli dipendono, vollero significare quella parte della Puglia che dall’Aufido (oggi Ofanto) giungeva sino al Gargano e sino al paese dei Frentani, ossia quel tratto di paese che oggi da taluni si chiama la Puglia di Foggia. Tuttavia un tal nome, che sino dal 600 a. C., ossia da quello di Mimnermo, appare collegato con il mito di Dauno e di Diomede, non pare sia mai stato usato in età storiche dagli abitanti di quella regione. Strabone ci dice chiaramente che gli indigeni delle Puglie al suo tempo (o per lo meno, osserviamo noi, al tempo delle sue fonti meno antiche come Apollodoro ed Artemidoro) chiamavano se stessi Apuli e che il nome dei Peucezi e dei Dauni pareva essere stato in uso solo in tempi antichi. Poco dopo egli osserva che le genti che abitavano intorno al Gargano si chiamavano propriamente Apuli e dall’esistenza del nome di Dauni e Peucezi è tratto a sospettare che, in antico, vi fossero differenze tra questi popoli, differenze che ormai, al suo tempo, non esistevano più. Infine questo stesso scrittore in un passo in cui secondo il Kramer ed anche secondo me si riferisce all’autorità di Antioco di Siracusa, si dice che erano Iapigi derivati dal Cretese Iapigio tutte quelle genti sopra Taranto le quali giungevano sino alla Daunia. Da tutti questi passi, e soprattutto in grazia dell’autorità di Antioco, mi pare si possa conchiudere che il nome dei Dauni, caduto pressoché in disuso nell’età storiche, indicava primieramente un popolo distinto dagli Iapigi. Che se più tardi da scrittori greci sino a Tolomeo, si ricorda la Daunia come una parte dall’Apulia, ciò vuol dire che la tradizione letteraria greca mantenne ferma una denominazione che non era più in uso nel paese. Perciò Dionisio, parlando della guerra di Pirro, nomina i Dauni di Arpi, e perciò Luceria è detta antica città di questa gente. Allo stesso modo molti scrittori greci, ad es. Tucidide, continuarono a chiamare Medi i Persiani. Invece gli annalisti romani queste genti nominarono Apuli. Il nome di Luceria ricorda chiaramente il Giove lucano ossia Lucius ed i Lucani che la abitavano dappresso; Daunus e la regione Daunia non hanno invece riscontro di sorta nei nomi geografici e personali d’Italia, anzi dell’Occidente. Invece essi si riconnettono agevolmente con Daunio re di Crisa, il fondatore di Metaponto, ricordato da Eforo, e con la nota Daulia crisea della Focide limitrofa alla Locride.
Dopo tutto ciò mi pare per lo meno lecito accampare l’ipotesi che i Messapi, in origine abbiano occupato un tratto di costa più esteso di quello che era in loro potere in età storiche; e, se io non mi inganno, nella penisola sallentina essi vennero respinti dalla invasione degli Iapigi dei quali ora ci faremo ad investigare la provenienza. " […]

* Passo tratto (emendato delle note) da Ettore Pais, Il Sud prima di Roma. (Storia della Sicilia e della Magna Grecia), tomo secondo, Ediz. Capone, Capone Editore, Lecce 2008, pagine 10-14