La pizzica e il Jazz
La tradizione musicale salentina non c'entra
granché con la tradizione musicale afroamericana, perlomeno di primo acchito.
Eppure ambedue le musiche (e non sono le sole), hanno subito lo stesso
trattamento.
Fino a un paio di decenni addietro, l’atteggiamento
degli intellettuali nei confronti dei cantori salentini e della
loro musica tradizionale è stato improntato al disprezzo, cinismo e brutalità.
Il cantore salentino è stato coartato e sfruttato in ogni modo
possibile, e la sua musica è stata troppe volte corrotta, strumentalizzata,
mercificata. Indotto, per lunghi anni, a recitare la parte del giullare di
fronte al pubblico dei turisti-visitatori, egli è stato, fin dal
principio, abituato a non prendersi molto sul serio, e a considerare la musica
cosa di poco valore, a vedere in essa la materia prima di un divertente
spettacolo e a comportarsi in modo conseguente. Costretto, il più delle volte,
a esibirsi, per pochi soldi, in ambienti miseri, si è visto discriminato in
mille maniere, e sempre sopravanzato, nel successo e nei guadagni, da
coloro i quali si sono limitati a copiare maldestramente ciò che lui aveva
inventato.
Tanta musica mediocre, goffamente ibridata con
altri generi musicali, degradata a prodotto d’immediato e disimpegnato consumo,
o a spettacolo deteriore, si spiega così: con la sopraffazione sistematica dei cantori salentini da parte di operatori di
quella spregiudicatissima industria culturale che si occupa della musica
leggera, e cioè i produttori di dischi, gli organizzatori di spettacoli, gli
agenti teatrali, i gestori di certi locali notturni e delle sale da ballo (quand’anche
la musica salentina sia solo musica ballabile) i quali si sono troppo spesso
adoperati per forzare la musica tradizionale salentina ad adeguarsi ai gusti
del «grosso pubblico internazionale» (le virgolette sono mie, ndr),
preoccupati di non sconvolgerne le abitudini uditive e, prima ancora, le convinzioni
su ciò che si debba intendere per bello musicale. Non può sorprendere che, in
questo tipo di operazioni, essi abbiano trovato dei preziosi collaboratori in coloro
i quali si sono preoccupati di addolcire la «rozza» espressività
dell’autentica musica salentina, producendo una musica appetibile per
chi non abbia saputo o voluto affrancarsi dai condizionamenti di un retroterra
culturale che con quello salentino non ha nulla, o quasi nulla, in comune.
Queste operazioni si sono dimostrate sovente
molto remunerative. Basti pensare alle ricorrenti fortune di tanta pizzica e/o tarantella (ma è pizzica e/o
tarantella?) «commerciale», inequivocabilmente intellettuale, o
pretenziosamente sinfonica.
[...] Per non parlare di certe pissicate di famosi testi salentini il
cui successo conferma soltanto l’irresistibile vocazione del grande pubblico
per il Kitsch. Sono musiche, tutte, che hanno il più delle volte soltanto il
merito di avere reso omaggio, in diversa misura ma sempre scopertamente, alla
cultura europea e ai canoni estetici elaborati nel suo ambito.
Il pregiudizio etnocentrico secondo il quale
solamente le espressioni della cultura propria sono «normali» e meritevoli di
attenzione (un pregiudizio, dispiace riconoscerlo, da cui solo una esigua minoranza,
fra gli eurocentrici e gli intellettuali,
ha saputo liberarsi del tutto), è all’origine di simili apprezzamenti, ai quali
fa riscontro la scarsa considerazione di cui, come gli artisti, hanno potuto
godere i cantori della musica salentina, e in particolare i salentini.
Questo pregiudizio etnocentrico non è stato
ancora del tutto rovesciato, anzi è ancora in vita, perlomeno stando a come i
cultori della musica tradizionale salentina guardano con reverenza gli
intellettuali e gli accademici, manco fossero papi (secondo il diritto canonico
non sono neppure papabili).
Sarebbe tuttavia ingiusto minimizzare l’apporto
che alcuni intellettuali
hanno dato alla musica salentina, e bisogna qui specificare che,
molto spesso, questi seppure pochi intellettuali, provengono da un territorio
diverso da quello salentino, e suppongo che il loro apporto in questo senso sia
dato proprio dal fatto che costoro sono fuori da giochi di potere, quindi da
ringraziamenti e genuflessioni varie nei confronti di politici e simili.
La verità è che la musica salentina non è affatto, né potrebbe
essere, una musica «universale», come qualcuno ha affermato con ingenuo
entusiasmo [...]. Non si avvicina né mai si potrà avvicinare al tango, al
rap, al reggae ma neppure al flamenco o al valzer o alla polka. È stata
invece, da De Martino in poi (cioé dalla sua data di nascita ufficiale per
il mondo occidentale), una musica compressa, e anche oscillante, fra due
culture, ciascuna delle quali ha fatto sentire su di essa, in diversa misura e
in vari modi, il proprio peso, facendo prevalere, a periodi alterni, i propri
valori.
Per questa ragione la sua evoluzione, le sue
incessanti metamorfosi, le sue concrete espressioni possono essere riguardate,
e di conseguenza valutate, da due diversi punti di vista, che in epoca recente
si sono rivelati difficilmente conciliabili fra loro. Il primo [...] è quello degli intellettuali e degli studiosi
contemporanei. È il punto di vista, cioè, che può avere -di fronte a un
fenomeno musicale che ha avuto origine in una cultura in gran parte aliene (non
solo dal punto di vista spaziale ma anche temporale)- l’osservatore
appartenente ad uno strato sociale-culturale considerato elevato (spesso
solo perché appartenente alla cultura egemone), e quindi orientato su valori
che, per convenzione e convinzione, non appartengono ad una civiltà
considerata «altra».
[...] L’opposto punto di vista è quello purista, per cui ogni processo evolutivo che
abbia tenuto conto o che tenga tuttora conto dei valori della cultura «alta»
altro non è che il risultato di una corruzione, di una sopraffazione culturale,
di una colonizzazione, e come tale da condannarsi.
È chiaro che all’origine di entrambi questi
contrastanti approcci critici alla musica salentina c’è anche una valutazione politica, quando
non un -magari inconsapevole- atteggiamento razzista, dell’uno o dell’altro, più
giustificabile, a mio avviso, segno.
A questo punto, qualcuno si domanderà cos’è che
c’entri la musica di tradizione salentina col jazz: nulla; Se non fosse che la parte scritta sopra
in corsivo è stata ripresa pari pari da Jazz, di Arrigo Polillo (da pp.
15-19) mentre i tondi sono miei.
Corsi e ricorsi storici, a distanza di migliaia
di chilometri.
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