lunedì 27 dicembre 2010

"Le putèi te mièru". Una singolare ricerca etnologica nella Lecce di fine anni Settanta

Le putèi1 te mièru
Una singolare ricerca etnologica
nella Lecce di fine anni Settanta
di Anna Rita Bruno, Vito Ingrosso, Adriano Marotta

Il limite della storiografia contemporanea (compresa quella etnologica, antropologica, etc.) consiste nel considerare l'analisi del fatto più importante del fatto stesso: ecco dunque la pubblicazione di mattoni che analizzano il fatto, senza descrivere l'oggetto analizzato.
Tale scientificamente infondato metodo di proposta scaturisce dalla convinzione che l'analisi sia oggettiva, mentre il racconto, giocoforza, soggettivo e riduttivo -quante volte, a scuola ed all'università, i docenti rimproverano agli alunni di limitarsi a raccontare il fatterello, senza alcuno spirito critico?-; narcisismo e ignoranza fanno poi il resto, così come l'autorevolezza (conferita quest'ultima dall'accademia anche a fronte di pubblicazioni fantasiose) dell'autore.
Da diversi anni svolgo ricerche sulla canzone leccese ed ho sempre preferito, per quanto possibile, narrare il fatto, lasciando al lettore che ne avesse voglia o necessità di approfondire ed eventualmente analizzare quanto raccontato.
Quello che segue è un articolo apparso su “Rassegna salentina” nel 1977, ma è soprattutto una testimonianza storica di una Lecce che già a metà degli anni Settanta del secolo scorso andava scomparendo; un racconto sulle putèi te mièru, che oggi non esistono più e che invece avevano una incidenza importante sulla società leccese (ma erano diffuse anche nei paesi limitrofi).
Il modo di scrivere degli autori è scorrevole e, non di rado, pare di entrare nella putea, riuscendo a carpirne gli odori e ad ascoltarne le voci.
Quello che più mi ha colpito dello scritto è che è una vera e propria relazione, scaturita da un lavoro sul campo e a tavolino (bella anche la divisione in tre parti: relazione, luoghi visitati, ricette).
Mi sono permesso di trascriverla, annotarla e pubblicarla.
Federico Capone (27/12/2010)

Le “putee” di Lecce2

Nel centro storico di Lecce e nelle sue immediate vicinanze sopravvivono alcuni locali caratteristici chiamati nel nostro dialetto putee3 e adibiti alla vendita del vino e di alcuni piatti tradizionali a base di carne.
Questi locali si animano prevalentemente di sera e ripropongono rapporti arcaici, ormai scomparsi in altri luoghi di ritrovo. Il vino è il denominatore comune di tutte le attività della putea.; intorno ad esso troviamo tutta una tipologia di avventori affezionati: da quelli che preferiscono sedersi al tavolo ed insieme al vino assaggiare qualche pezzettu di carne di cavallo o qualche gnemmarieddhru4 di trippa, a quelli che si fermano presso il bancone a bere vino accompagnandolo con taralli e uova sode, a quelli infine, che si fanno solo lu mienzuquintu5. Spesso c'è anche chi mangia fettine o li pezzetti di cavallo nelle rosette di pane. È legato a questi ambienti anche l'uso delle carte napoletane con cui si gioca generalmente lu tressette, la scupa, la briscula.
Di solito la putea è situata in un unico grande locale a pianterreno. L'arredamento tipico consiste in un bancone, alcuni tavoli con sedie o scanni, e in una fornacetta o cucina economica. Il bancone è, quasi sempre, in pietra rivestito sui lati da piastrelle bianche e, superiormente, da una lastra di marmo in cui è inserito il tipico lavandino in rame (spesso il lavandino è ricavato nella stessa pietra del banco o foderato da piastrelle bianche). Sulla lastra di marmo trovano posto i boccali smaltati con cui si usa ancora servire il vino, e i bicchieri di vetro poggiati a sgocciolare in un grande piatto in ferro smaltato (non è più in uso lu cuperchiu de piatta: disco in terracotta con fori usato dai vinai come scolabicchieri).
È caratteristica di ogni putea la vetrinetta, posata su un angolo del banco, in cui sono esposti i piatti freddi: uova sode, pesce fritto, ecc.
Normalmente vicino al banco si trovano li capasuni in creta e le utti contenenti il vino; nella stessa stanza, non lontana dal banco, è quasi sempre situata la zona cucina, che consiste in un cucinino a gas posto su un tavolino. È ormai rarissimo trovare qualche cucina economica a carbone, una volta assai diffusa. È ancora in uso, invece, appendere al muro le pentole e le padelle. I vecchi scanni di legno senza spalliera sono stati sostituiti da comuni sedie, in ferro e fòrmica e, spesso, li si trovano accantonati in un angolo.
Gli oggetti e gli arredamenti di una volta erano in terracotta (brocche, piatti), in legno (scanni, tavoli), in ferro smaltato e vetro, ma questi materiali sono stati quasi del tutto soppiantati dalla plastica e dalla fòrmica. Stessa sorte hanno avuto le fornacette a carbone, smantellate e sostituite dalle cucine a gas.
Intendiamo sottolineare questo fenomeno come deleterio, non per fare il lamento del purista, ma per far notare il nocivo, secondo noi, influsso di certi modelli di progresso per cui alcuni oggetti sono stati sostituiti in funzione di una certa comodità, non bilanciata da un'adeguata comodità.
Artigiani, bottegai, operai, sono gli abituali frequentatori di questi locali; le putee permettono loro di rimanere legati a certe tradizioni profondamente diverse da quelle dei nuovi ritrovi (bar, sale da gioco, discoteche).
Si chiacchiera, ci si sfida a carte, si beve, si mangia un boccone attorno ai tavoli o appoggiati al bancone e si dimenticano il lavoro e i problemi quotidiani in compagnia degli amici6.
Quasi tutte le pietanze servite nelle putee sono ormai in disuso o addirittura scomparse dalle tavole delle famiglie, dalle trattorie e dai ristoranti e si possono trovare solo in questi locali. È da dire comunque che nelle putee il cibo è più un pretesto per bere e accompagnare il vino che per soddisfare una vera e propria fame.
Tra i piatti caldi il più caratteristico è quello dei pezzetti: pezzi di carne di cavallo al sugo. Molto saporiti sono anche gli altri piatti quali: gli gnemmarieddhri, particolari involtini ricavati dalla trippa; il fegato di maiale cotto in tegame con la cipolla o arrostito con la zzippa; le fettine di carne di cavallo arrostita alla brace; la trippa a tocchetti, cotta nella propria acqua; le polpette di carne di cavallo, prima fritte e poi cotte nella salsa di pomodoro; gli involtini di carne ripieni di mortadella, uova sode, aglio, prezzemolo tritato; la matriata, budello del vitellino da latte e infine la salciccia di maiale, generalmente arrostita.
I piatti freddi esposti nelle vetrinette sui banconi sono: pesce fritto (sarde o pupiddhri); calamari fritti; polpo lesso; pittule, pezzi di baccalà impastati nella pasta lievitata e fritti; lingua di vitello lessata; muso di maiale lesso, cioè una parte della testa del maiale lessata e condita con limone, sale e pepe. E ancora poi peperoni arrostiti, melanzane arrostite con l'aceto e la mentuccia, filetti di alici all'olio serviti assieme ai carciofini sott'olio. Il muso e i pezzetti possono essere gustati stando in piedi, presso il banco o, come si usa dire alla furcina.
Spesso nella vetrinetta è anche posto il caratteristico boccaccio in vetro dei taralli e la coppetta con le uova sode.
In questi ultimi anni le putee sono state emarginate dal contesto della vita attiva. Come già abbiamo detto la loro natura è stata superata da altri ritrovi. Tuttavia riscontriamo un rinnovato interesse dei giovani nei confronti di questi locali, ove sono attirati dalla possibilità di avere nuovi contatti umani, di fare nuove esperienze, di avere un rapporto diverso col cibo e di provare dei piatti leccesi ormai in disuso presso le famiglie. Inoltre, e non è poco, il prezzo delle consumazioni, se così vogliamo chiamarle, è molto contenuto.
A questo punto, crediamo necessario, perché non si falsino i motivi e i fini del nostro interessamento per le putee, spiegare che il nostro non vuole essere un discorso di élite, in cui la putea si riduce ad un oggetto di studio; in poche parole, non ci interessa un recupero di questi locali a livello di riscoperta in chiave consumistica, così come di moda oggi.
Il nostro intento è stato solo di descrivere questo mondo così come è. Con la speranza che l'eventuale partecipazione non diventi una ricerca di emozioni epidermiche (il turismo consumistico alla ricerca del buon selvaggio insomma!). La putea, secondo noi, non è qualcosa che si possa sfruttare turisticamente sul centro storico -che molte volte nascondono fini poco chiari- si inserisse anche il discorso delle putee, sfatando il pregiudizio che le vuole luogo di riunione per ubriaconi e perdigiorno7.
A conclusione di questo breve articolo riportiamo l'elenco delle putee che abbiamo visitato8 con i cibi che in esse si possono trovare. In esso alcune putee hanno come indicazione solo la via, non avendo esse un nome specifico. L'elenco è completato da due cartine rappresentanti due zone del centro storico leccese in cui sono segnalate le putee più conosciute e più caratteristiche. Infine, ci è piaciuto inserire le ricette di alcuni dei piatti che si possono mangiare in questi locali.

Putee del centro storico:

  1. Totu – vico de' Creti – si mangia: matriata, pezzetti, muso di maiale, trippa, gemmarieddhri, melanzane.
  2. Egidio – corte dei Morisco – si mangia: muso, calamari, pezzetti, melanzane. Sant'Antonio te inthra (v. piantina A, n. 2).
  3. Fangiscu – vico dei Guidoni – si mangia: fegato, pezzetti, fettine di cavallo arrosto. È l'unico ad usare ancora la cucina a carboni. Si mangia in piedi. Possibilità di chiedere vino vecchio. Arretu a San Matteu (v. piantina B, n. 4).
  4. Corte dei San Blasio – si mangia: trippa, alicetti, pezzetti. Arretu allu Mmamminu (v. piantina B, n. 4).
  5. Totu – si mangia: pezzetti, calamari fritti, polpette, melanzane sott'olio . Scalinata interna che porta in un vasto scantinato. Vico Panevino, 12 (v. piantina B, n. 5).
  6. Via Gualtiero di Brienne – si mangia: polpo lesso, affettati, pezzetti.


Fuori dalle mura troviamo:

  1. Ninu – si mangia: muso, uova, pittule, pezzetti. Si mangia in piedi. Mercato Porta Rudiae.
  2. Nzinu – si mangia: sarde fritte, polpi, uova, salsicce, polpette, pezzetti. Via Salvatore Stampacchia, 58 – Fore porta Rusce.
  3. Scuacquitti (ex) – si mangia: pezzetti, pesce fritto, peperoni arrostiti. Via Marco Aurelio, 10.
  4. La Signurina – si mangia: salsiccia, pezzetti, polpette, fegato, carne di cavallo. Via Orsini del Balzo, 32 (San Pascali).
  5. Via Leuca – si mangia: lingua, pezzetti, fegato, carne di cavallo.
  6. Corte de' Fiori – si mangia: involtini, pezzetti, carne arrosto.
  7. De Matteis – si mangia: pezzetti, pesce fritto, pittule. Si notano ancora alcuni tavoli e scanni in legno. Via Orsini Ducas, 2.
  8. Via San Cesario – si mangia: pezzetti, melanzane, uova, formaggio. Si mangia in piedi.
  9. Viale A. Marconi.


Ricette:

PezzettiIngredienti: carne di cavallo (di secondo taglio: pancetta, muscolo o piscitello) tagliato a tocchi. Per il sugo: cipolla, peperoncini, salsa, olio, sale e pepe. Si sistemano nella pentola l'olio e la cipolla tagliata a listarelle sottili, sale, un pezzetto di peperoncino tiaulicchiu, e i pezzetti. Cuocere finché la cipolla non si è consumata, aggiungendo unpo' d'acqua man mano che occorre. Indi aggiungere la salsa e continuare a cuocere fino ad avvenuta cottura della carne.

PolpetteIngredienti: carne macinata, formaggio sardo, pangrattato, uova, sale. S'impasta la carne col pangrattato, il formaggio, l'uovo e un po' d'acqua. Quando il tutto è ben amalgamato si formano le polpette e si friggono. Infine si mettono nella salsa e si cuocciono insieme.

GnemmarieddhriIngredienti: centopezze (parte interna della trippa), formaggio piccante, pancetta a tocchetti, cannulu (parte terminale dell'intestino), cipolla, prezzemolo, un po' di pomodoro). Si stende sul tavolo la centopezze, si taglia a quadrati e in ognuno di essi si mette un po' di formaggio, di pancetta, di cannulu, di cipolla tritata, di prezzemolo e di pomodoro e si cuoce il tutto. Si mettono gli involtini così formati nella pentola con pochissima acqua e qualche pezzetto di sedano. Cuocere per circa mezz'ora.

Matriata (bodello del vitellino da latte) – Ingredienti: matriata, alloro, aglio, sale, olio. La matriata va lavata con acqua e limone e tagliata a pezzetti di lunghezza variabile. Bisogna precisare che tagliando il budello (dopo il lavaggio) si deve eliminare quasi del tutto l'eventuale grasso e conservare il sugo secreto dal budello durante il taglio. Tale sugo servirà per la cottura. Sfumare l'olio con l'aglio. Togliere l'aglio e mettere la matriata, insieme al proprio sugo, con due foglie d'alloro. Salare e cuocere a fuoco lento aggiungendo, se necessario, dell'acqua man mano che si consuma il succo e così via finché la matriata non è cotta. Oltre che con l'acqua la matriata si può cuocere tirandola con il vino.

Fegato - Ingredienti: fegato di maiale tagliato a pezzetti, sale, pepe e alloro. Avvolgere i pezzetti di fegato nella zippa, cioè la membrana trasparente che avvolge il fegato, dopo averli salati e pepati. Infilare i vari pezzetti nello spiedino alternandoli con foglie di alloro ed arrostire sulla brace a fuoco lento.


Anna Rita Bruno
Vito Ingrosso
Adriano Marotta
1 In realtà sarebbe più corretto, al plurale, dire putee (come in effetti fanno gli autori dell'articolo) e non già putei.
2 Apparso col titolo Le putee di Lecce su “Rassegna salentina”, Anno II n. 5 – settembre-ottobre 1977, di Anna Rita Bruno, Vito Ingrosso, Adriano Marotta.
3 Secondo gli autori il termine putea deriverebbe dal verbo latino poto -as, potare=bere. In realtà è più probabile che derivi dal latino apotheca che significa bottega (i.e. putèa te fierru = bottega del fabbro). In greco apotheka vuol dire farmacia.
4Involtini di carne, si veda la ricetta più avanti.
5Unità di misura pari a 100 ml.
6 È bene ricordare un verso di uno dei cavalli di battaglia del grande interprete della canzone dialettale leccese Bruno Petrachi: “quanti bicchieri te mièru me biu tanti pensieri te càpu me llèu” (da Mièru là là)
7 Da “a questo punto...” fino a “...ubriaconi e perdigiorno” è una affermazione polemica ed importante, poiché ci fa comprendere come, già all'epoca, si assisteva a fenomeni di spettacolarizzazione della tradizione (ancora forse non si era arrivati ad inventarla, come invece accade oggi) a fini commerciali. Anche negli anni Settanta il buon selvaggio era capace di attrarre turisti.
8 Da qui si capisce che più che un articolo è stata una vera e propria ricerca sul campo.

2 commenti:

  1. Mi piacerebbe sapere come si chiamavano allora le licenze delle putee...per caso vino al minuto? Grazie

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  2. Mi piacerebbe sapere come si chiamavano allora le licenze delle putee...per caso vino al minuto? Grazie

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