domenica 9 novembre 2025

"Quando Ernesto de Martino scoprì i misteri del tarantismo" intervento apparso su "La Gazzetta del Mezzogiorno" del 5 maggio 2025

 

Quando Ernesto de Martino scoprì i misteri del tarantismo

Tra storia, magia e religione



Nel 1959, quando Ernesto de Martino scese in Salento con un’équipe interdisciplinare per studiare da vicino il fenomeno del tarantismo, aveva già maturato una convinzione metodologica di base: ogni fatto umano — magico, religioso, mitico o, comunque, ritenuto irrazionale — richiede una rigorosa storicizzazione. Questo principio, già esposto in Sud e magia, si fonda sull’idea che nessun fenomeno culturale possa essere compreso al di fuori del proprio contesto storico.

Questa premessa consente di cogliere la duplice prospettiva con cui lo storico campano si approcciava allo studio del tarantismo: da un lato, un'analisi etica, fondata sull'interpretazione critica delle fonti storiche; dall'altro, un'indagine emica, caratterizzata dall’immersione diretta nella realtà sociale ed emotiva dei protagonisti. Il lavoro sul campo, pur non esente da sguardo etnocentrico, si rivela oggi di importanza fondamentale per la comprensione del fenomeno.

Nel Commentario storico de La terra del rimorso, E. de Martino individua il Medioevo come il periodo storico in cui il tarantismo si consolida in forme riconoscibili, pur non escludendone radici più antiche. Da quel momento in poi, traccia una genealogia del fenomeno, evidenziandone i cambiamenti intercorsi nei secoli successivi.

Il tarantismo, come ogni rito, si struttura attorno a due elementi: uno stabile — la funzione, nel caso specifico quella terapeutica di guarigione dal morso della tarantola — e uno variabile — la forma della celebrazione rituale. I mutamenti osservabili dal Medioevo fino al XX secolo non rappresentano una perdita di senso, bensì un continuo adattamento della funzione originaria alle trasformazioni culturali, rispondendo, in pratica, alle esigenze specifiche del momento.

Condividendo l'ipotesi di E. de Martino secondo cui il fenomeno affonda le sue radici nell'urto tra Occidente cristiano e mondo islamico, il tarantismo del 1959 può essere letto come il risultato di una nuova forma di incontro-scontro tra una cultura egemone occidentale ("alta", "colta") e una cultura locale subalterna (che, per immediatezza, definisco "popolare"). È in questo senso che si evidenzia più chiaramente lo sguardo etnocentrico dello storico campano; ne emerge un tarantismo filtrato dalla sua posizione di intellettuale esterno che, pur calatosi nella realtà indigena, non ha potuto fare a meno di far prevalere il proprio punto di vista.

Dopo la spedizione del 1959, il fenomeno subisce un cambiamento significativo. Questo mutamento è dovuto non solo ai gruppi di riscoperta e riproposta della pizzica — tra cui spicca il Canzoniere Grecanico Salentino, fondato nel 1975 dalla scrittrice Rina Durante e dal musicista Daniele Durante — ma anche alla vitalità di pratiche popolari, come la canzone popolare leccese (e quindi salentina), conservate da segmenti sociali estranei alle élite intellettuali e non politicizzati.

Il momento di svolta decisivo, tuttavia, si verifica negli anni Ottanta del secolo scorso e si consolida nel decennio successivo, grazie all’incontro tra accademia e cultura giovanile (in particolare il Sud Sound System e in generale il movimento Reggae Hip Hop locale), favorito da figure come Georges Lapassade e Piero Fumarola. Da questa sinergia nasce il "tarantamuffin", un'ibridazione musicale che segna un'inversione nei rapporti di forza culturale: il subalterno diventa protagonista attivo della narrazione, mentre la cultura egemone si trova a mediare con forme espressive locali e popolari.

Successivamente, sono due accademici, Gianfranco Salvatore e Maurizio Agamennone che, con La Notte della Taranta, rinsaldano ulteriormente l’unione tra cultura "colta" e "popolare" creando una vera e propria controcultura.

Oggi il tarantismo, così come la cultura popolare salentina più in generale, si presenta come soggetto attivo e non più passivo della storia: le ronde spontanee che animano ogni piazza del Salento, ogni sera d’estate, testimoniano un processo di riappropriazione di una tradizione che, per troppo tempo, è stata considerata (ed è in parte lo è ancora oggi) subalterna, degna solo di essere analizzata senza riconoscerle dignità di esistenza propria.



05/05/2025

sabato 1 novembre 2025

"Tarantismo, oltre i cliché". Carlo Petrachi recensisce Osservazioni sul tarantismo di Federico Capone.

Tarantismo, oltre i cliché

Capone rilegge il fenomeno:

rito, musica e identità del Salento

al di là della cartolina “Taranta”


di Carlo Petrachi –



Parlare oggi di tarantismo può dare l’impressione di occuparsi di archeologia culturale contadina, senza la possibilità di esaminare e studiare il fenomeno da vicino per mancanza di materia prima.

Eppure dopo l’input di Ernesto de Martino con «La terra del rimorso» e le implicazioni iatromusicali, il fenomeno sembra proseguire, talvolta relegato a semplice ricordo con la ripetizione piazzaiola di brani musicali riadattati o (più ancora) arrangiati e sfruttati squisitamente a fini di mercato. «Taranta di casetta», ebbero a sottolineare una volta Rina Durante e Luigi Antonio Santoro (per i melendugnesi, Gino Poeta).

La notte della Taranta” ha sollevato non poco interesse tra i mass media, ha radunato folle, ha dato vita ad un’organizzazione capillare alla ricerca del nome famoso, da strapagare, che scimmiotta in nostro dialetto in modo approssimativo (vai a pronunziarla la D cacuminale!) e poi viene asfaltato dalla successiva esecuzione magistrale di “una certa” Alessia Tondo, non retribuita come il “nome famoso”, ma di certo musicalmente più valida la quale è in grado di mettere in piena luce tutta la bellezza, la dolcezza, la poesia e la musicalità del dialetto salentino.

Non parliamo poi se nella faccenda entra anche la politica che incoraggia la pseudocultura e – mi si lasci passare l’espressione dialettale – vi si paparìçia dentro con goduria dei suoi rappresentanti, paghi e pimpanti della propria visibilità in mezzo ad “adunate oceaniche”.

Federico Capone nella sua seconda edizione di «Osservazioni sul tarantismo», rivista ed ampliata, con prefazione di Maurizio Nocera, Capone Editore, Cavallino (LE), €18,00, maggio 2025, affronta il «fenomeno catartico» del tarantismo che non considera certo esaurito sol perché «non se ne colgono le trasformazioni.»

Ripercorre sinteticamente l’iter storico del fenomeno, sia avvalendosi di quanto riportato dal Ernesto de Martino, sia dalle testimonianze (talora fantasiose) di vari autori italiani e stranieri a partire dal XV e XVI secolo e va alla ricerca di agganci e parallelismi non solo tra le baccanti del mondo greco, ma addirittura in quello biblico con i “serpenti ardenti”, cioè dal morso bruciante ed alle “cure”, praticate nel corso del tempo fino a giungere alla cura attraverso la danza frenetica al suono del piffero e del tamburello uniti alla cromoterapia.

Che la ricerca condotta da Capone, pur nella sua concisione, non sia per niente superficiale, lo rivela la ricca bibliografia cui fa riferimento ed elenca nelle pagg. 180-187.

L’Autore analizza in modo particolare il fenomeno musicale con le sue evoluzioni nel tempo, lo fa con profondità di pensiero ed inedita ed originalità, seguendo una ricerca fuori dai luoghi comuni, diciamo pure in controcorrente – e non va certo in cerca di facile consenso nel mondo intellettuale o sedicente tale – cercando, nondimeno, vicinanze tra pizzica e jazz.

Si potrebbe obiettare che le origini del jazz siano molto diverse dalla pizzica e che i contrappunti jazz possano trovare le proprie radici addirittura nella musica sacra: pensiamo ai gospel o agli spirituals che sembrano quasi l’evoluzione dei corali di Bach, tanto che, con un po’ di suggestione, potremmo paragonare Bach ad un jazzista ante litteram. Eppure il jazz segue un proprio corso e un proprio sviluppo con caratteristiche proprie, così come la pizzica che non è solo ritmo frenetico, come spesso oggi viene erroneamente smerciato, ma comprende varie melodie e vari ritmi, però non possiamo fare a meno di notare una somiglianza tra i canti spirituals degli schiavi negri nei campi di cotone e la nostra “stisa” con un cantore che inizia (chi si ricorda della Teta Simpatichina, alias Niceta Petrachi?) e il coro a più voci che continua con mirabile armonia spontanea – quasi connaturata – e improvvisata. Chi ne sarebbe capace oggi?

L’Autore ravvisa nel gruppo musicale Sud Sound System e nel raggae+hip hop, un’evoluzione positiva della musica popolare salentina, che lungi dal fossilizzarsi in vecchie riproposizioni, evolve in proposta positiva: basti ricordare le parole della loro canzone “Le radici ca tieni”, un inno in difesa delle origini e della cultura di tutti i popoli e dell’affratellamento universale.

Molto interessati i disegni e le foto proposte che illustrano e sintetizzano in modo opportuno l’excursus del tarantismo con le credenze popolari e gli agganci religiosi anche attuali.

L’Autore, pur non essendo nuovo a pubblicazioni del genere, nella seconda edizione di «Osservazioni sul tarantismo», raggiunge l’obiettivo di offrire l’occasione per una rilettura del fenomeno con un più ampio respiro.