sabato 1 novembre 2025

"Tarantismo, oltre i cliché". Carlo Petrachi recensisce Osservazioni sul tarantismo di Federico Capone.

Tarantismo, oltre i cliché

Capone rilegge il fenomeno:

rito, musica e identità del Salento

al di là della cartolina “Taranta”


di Carlo Petrachi –



Parlare oggi di tarantismo può dare l’impressione di occuparsi di archeologia culturale contadina, senza la possibilità di esaminare e studiare il fenomeno da vicino per mancanza di materia prima.

Eppure dopo l’input di Ernesto de Martino con «La terra del rimorso» e le implicazioni iatromusicali, il fenomeno sembra proseguire, talvolta relegato a semplice ricordo con la ripetizione piazzaiola di brani musicali riadattati o (più ancora) arrangiati e sfruttati squisitamente a fini di mercato. «Taranta di casetta», ebbero a sottolineare una volta Rina Durante e Luigi Antonio Santoro (per i melendugnesi, Gino Poeta).

La notte della Taranta” ha sollevato non poco interesse tra i mass media, ha radunato folle, ha dato vita ad un’organizzazione capillare alla ricerca del nome famoso, da strapagare, che scimmiotta in nostro dialetto in modo approssimativo (vai a pronunziarla la D cacuminale!) e poi viene asfaltato dalla successiva esecuzione magistrale di “una certa” Alessia Tondo, non retribuita come il “nome famoso”, ma di certo musicalmente più valida la quale è in grado di mettere in piena luce tutta la bellezza, la dolcezza, la poesia e la musicalità del dialetto salentino.

Non parliamo poi se nella faccenda entra anche la politica che incoraggia la pseudocultura e – mi si lasci passare l’espressione dialettale – vi si paparìçia dentro con goduria dei suoi rappresentanti, paghi e pimpanti della propria visibilità in mezzo ad “adunate oceaniche”.

Federico Capone nella sua seconda edizione di «Osservazioni sul tarantismo», rivista ed ampliata, con prefazione di Maurizio Nocera, Capone Editore, Cavallino (LE), €18,00, maggio 2025, affronta il «fenomeno catartico» del tarantismo che non considera certo esaurito sol perché «non se ne colgono le trasformazioni.»

Ripercorre sinteticamente l’iter storico del fenomeno, sia avvalendosi di quanto riportato dal Ernesto de Martino, sia dalle testimonianze (talora fantasiose) di vari autori italiani e stranieri a partire dal XV e XVI secolo e va alla ricerca di agganci e parallelismi non solo tra le baccanti del mondo greco, ma addirittura in quello biblico con i “serpenti ardenti”, cioè dal morso bruciante ed alle “cure”, praticate nel corso del tempo fino a giungere alla cura attraverso la danza frenetica al suono del piffero e del tamburello uniti alla cromoterapia.

Che la ricerca condotta da Capone, pur nella sua concisione, non sia per niente superficiale, lo rivela la ricca bibliografia cui fa riferimento ed elenca nelle pagg. 180-187.

L’Autore analizza in modo particolare il fenomeno musicale con le sue evoluzioni nel tempo, lo fa con profondità di pensiero ed inedita ed originalità, seguendo una ricerca fuori dai luoghi comuni, diciamo pure in controcorrente – e non va certo in cerca di facile consenso nel mondo intellettuale o sedicente tale – cercando, nondimeno, vicinanze tra pizzica e jazz.

Si potrebbe obiettare che le origini del jazz siano molto diverse dalla pizzica e che i contrappunti jazz possano trovare le proprie radici addirittura nella musica sacra: pensiamo ai gospel o agli spirituals che sembrano quasi l’evoluzione dei corali di Bach, tanto che, con un po’ di suggestione, potremmo paragonare Bach ad un jazzista ante litteram. Eppure il jazz segue un proprio corso e un proprio sviluppo con caratteristiche proprie, così come la pizzica che non è solo ritmo frenetico, come spesso oggi viene erroneamente smerciato, ma comprende varie melodie e vari ritmi, però non possiamo fare a meno di notare una somiglianza tra i canti spirituals degli schiavi negri nei campi di cotone e la nostra “stisa” con un cantore che inizia (chi si ricorda della Teta Simpatichina, alias Niceta Petrachi?) e il coro a più voci che continua con mirabile armonia spontanea – quasi connaturata – e improvvisata. Chi ne sarebbe capace oggi?

L’Autore ravvisa nel gruppo musicale Sud Sound System e nel raggae+hip hop, un’evoluzione positiva della musica popolare salentina, che lungi dal fossilizzarsi in vecchie riproposizioni, evolve in proposta positiva: basti ricordare le parole della loro canzone “Le radici ca tieni”, un inno in difesa delle origini e della cultura di tutti i popoli e dell’affratellamento universale.

Molto interessati i disegni e le foto proposte che illustrano e sintetizzano in modo opportuno l’excursus del tarantismo con le credenze popolari e gli agganci religiosi anche attuali.

L’Autore, pur non essendo nuovo a pubblicazioni del genere, nella seconda edizione di «Osservazioni sul tarantismo», raggiunge l’obiettivo di offrire l’occasione per una rilettura del fenomeno con un più ampio respiro.

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