Quando Ernesto de Martino scoprì i misteri del tarantismo
Tra storia, magia e religione
Nel 1959, quando Ernesto de Martino scese in Salento con un’équipe interdisciplinare per studiare da vicino il fenomeno del tarantismo, aveva già maturato una convinzione metodologica di base: ogni fatto umano — magico, religioso, mitico o, comunque, ritenuto irrazionale — richiede una rigorosa storicizzazione. Questo principio, già esposto in Sud e magia, si fonda sull’idea che nessun fenomeno culturale possa essere compreso al di fuori del proprio contesto storico.
Questa premessa consente di cogliere la duplice prospettiva con cui lo storico campano si approcciava allo studio del tarantismo: da un lato, un'analisi etica, fondata sull'interpretazione critica delle fonti storiche; dall'altro, un'indagine emica, caratterizzata dall’immersione diretta nella realtà sociale ed emotiva dei protagonisti. Il lavoro sul campo, pur non esente da sguardo etnocentrico, si rivela oggi di importanza fondamentale per la comprensione del fenomeno.
Nel Commentario storico de La terra del rimorso, E. de Martino individua il Medioevo come il periodo storico in cui il tarantismo si consolida in forme riconoscibili, pur non escludendone radici più antiche. Da quel momento in poi, traccia una genealogia del fenomeno, evidenziandone i cambiamenti intercorsi nei secoli successivi.
Il tarantismo, come ogni rito, si struttura attorno a due elementi: uno stabile — la funzione, nel caso specifico quella terapeutica di guarigione dal morso della tarantola — e uno variabile — la forma della celebrazione rituale. I mutamenti osservabili dal Medioevo fino al XX secolo non rappresentano una perdita di senso, bensì un continuo adattamento della funzione originaria alle trasformazioni culturali, rispondendo, in pratica, alle esigenze specifiche del momento.
Condividendo l'ipotesi di E. de Martino secondo cui il fenomeno affonda le sue radici nell'urto tra Occidente cristiano e mondo islamico, il tarantismo del 1959 può essere letto come il risultato di una nuova forma di incontro-scontro tra una cultura egemone occidentale ("alta", "colta") e una cultura locale subalterna (che, per immediatezza, definisco "popolare"). È in questo senso che si evidenzia più chiaramente lo sguardo etnocentrico dello storico campano; ne emerge un tarantismo filtrato dalla sua posizione di intellettuale esterno che, pur calatosi nella realtà indigena, non ha potuto fare a meno di far prevalere il proprio punto di vista.
Dopo la spedizione del 1959, il fenomeno subisce un cambiamento significativo. Questo mutamento è dovuto non solo ai gruppi di riscoperta e riproposta della pizzica — tra cui spicca il Canzoniere Grecanico Salentino, fondato nel 1975 dalla scrittrice Rina Durante e dal musicista Daniele Durante — ma anche alla vitalità di pratiche popolari, come la canzone popolare leccese (e quindi salentina), conservate da segmenti sociali estranei alle élite intellettuali e non politicizzati.
Il momento di svolta decisivo, tuttavia, si verifica negli anni Ottanta del secolo scorso e si consolida nel decennio successivo, grazie all’incontro tra accademia e cultura giovanile (in particolare il Sud Sound System e in generale il movimento Reggae Hip Hop locale), favorito da figure come Georges Lapassade e Piero Fumarola. Da questa sinergia nasce il "tarantamuffin", un'ibridazione musicale che segna un'inversione nei rapporti di forza culturale: il subalterno diventa protagonista attivo della narrazione, mentre la cultura egemone si trova a mediare con forme espressive locali e popolari.
Successivamente, sono due accademici, Gianfranco Salvatore e Maurizio Agamennone che, con La Notte della Taranta, rinsaldano ulteriormente l’unione tra cultura "colta" e "popolare" creando una vera e propria controcultura.
Oggi il tarantismo, così come la cultura popolare salentina più in generale, si presenta come soggetto attivo e non più passivo della storia: le ronde spontanee che animano ogni piazza del Salento, ogni sera d’estate, testimoniano un processo di riappropriazione di una tradizione che, per troppo tempo, è stata considerata (ed è in parte lo è ancora oggi) subalterna, degna solo di essere analizzata senza riconoscerle dignità di esistenza propria.
05/05/2025
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