martedì 26 marzo 2013

Paragonavo le cose, diversi anni addietro.


Diversi anni addietro paragonavo le cose.


Paragone

Anche quest'anno, come da un decennio ormai, si è voluta paragonare la "musica popolare salentina" (quale, poi? quella della campagna, quella della città, quella delle bande, etc.) a qualche altra musica del mondo, e si è arrivati a scomodare addirittura “il jazz” e “la classica”, segno evidente che Flamenco e Reggae, musiche più povere e meno intellettuali, hanno fatto il loro tempo.
È bene chiarire fin da subito che, dal punto di vista della storia della musica, il paragone non regge, se non altro perché Jazz e “classica” hanno una propria storia, diversa dalla nostra: non nascono dall'oggi al domani bensì scaturiscono da processi di cambiamento lenti e profondi in contesti di vere e proprie civiltà, non solo musicali, saldamente ancorate alle radici. A creare e rafforzare questo legame con le radici, prima ancora dell'arte, sono stati lavori storici seri ed autorevoli che hanno dato consapevolezza ai protagonisti del proprio retroterra culturale, la stessa consapevolezza che in Salento è carente, poiché mancano gli studi.
Perché dunque tirare in ballo Jazz e “classica”? Penso per motivi che con la musica c'entrano poco, "il jazz" e "la classica" sono, nella polemica superficiale, intesi in maniera quantomeno grossolana: come generi standardizzati, senza tener conto delle tante, infinite, sfumature e paradossi che li caratterizzano (Davis, Hancok, Zawinul sono da inserire nella classica o nel Jazz?, E Satie, Mussorgsky, Ravel, sono da considerarsi artisti "classici"?).
Se l'etichetta è giustificabile da un punto di vista commerciale, perché la musica racchiusa in un "genere" riesce con più facilità a penetrare il mercato, fungendo da specchietto per le allodole per l'acquirente, non vuol dire che debba avere la stessa funzione per lo storico.
Solo in questo senso un paragone fra le succitate musiche e quella locale si può abbozzare, col rischio, neppure tanto remoto, che "la musica popolare salentina", come "il jazz” e "la classica", divenga un marchio sotto il quale far passare di tutto, cosa che tra l’altro già accade.
Quando Alan P. Merriam affermava che la “musica è stabile ma non statica”, dava per scontato che questa (la musica), in quanto espressione culturale (come la religione, d'altronde, che in periodi più laici era considerata l'oppio dei popoli), ha in sé un potere altresì stabilizzante, rassicurante se vogliamo, per chi cerca i luoghi comuni e le certezze, soprattutto quando c'è carenza di critica seria e non si sente più la necessità di leggere la storia.
Sul potere stabilizzante delle espressioni culturali, è stato molto più esplicito Charles Bukowski quando affermava che “Il regime è preoccupato per la sua cultura. La cultura è un elemento stabilizzante. Non c'è niente di meglio di un museo, di un'opera di Verdi o di un poeta con tanto di riconoscimenti ufficiali per ricacciare il progresso indietro”.
Con questo non voglio affermare che la “cultura popolare” sia oggi imposta dall'alto, anche se è pur sempre una potenziale arma di gestione del potere, semplicemente noto che troppi intellettuali salentini, anziché andare avanti con la ricerca e con l’analisi, si perdono dietro la moda del momento.
La cultura, dovrebbe nutrirsi dello scontro di idee e del dialogo, la polemica a sé stante è priva di senso e non è funzionale alla crescita di un territorio che ancora deve decidere cosa sarà da grande, e non può perennemente esser fatto passare, a seconda delle convenienze, come "Terra di Mezzo", e quindi del centro “tradizionalmente” inteso, o come “Sud dei Sud” e quindi terra destinata a rimanere ai margini e magari a piangersi addosso.
La “Notte della Taranta” è un evento importante, un laboratorio dove si creano nuove forme musicali, ibridi che sicuramente con la musica salentina possono non aver nulla a che fare, ma che aiutano il territorio a crescere più delle polemiche di campanile di chi resta ancorato a retaggi dai quali la musicologia mondiale si è affrancata da tempo (quali quelli sulla maggiore "originalità" di un brano rispetto ad un altro), retaggi sterili che lasciano ben poco spazio alla ricerca sulla cultura salentina che necessita invece di una nuova lettura della propria storia (se di lettura ce n'è mai stata una), anche musicale.
E questo perché si possa parlare poi di civiltà, anche musicale, di Terra d'Otranto.
Solo allora il paragone con le altre musiche del mondo potrà realmente reggere, non solo dal punto di vista commerciale, quindi come marchio su una maglia di calcio, come un festival che fa parlare di Salento una volta l'anno, ma anche dal punto di vista culturale, che poi è la prospettiva che più dovrebbe interessare alla gente comune e, forse, anche a qualche intellettuale.
Ma se il Salento riuscisse a riappropriarsi della propria identità, non solo a parole ma nei fatti, allora ci sarebbe ben altro su cui discutere e si andrebbe più cauti nello snocciolare paragoni a gò-gò.

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