giovedì 25 agosto 2016
"Il Ragno, la musica e Leonardo da Vinci", recensione a firma di Claudia Presicce apparsa su Nuovo Quotidiano di Puglia del 23 agosto 2016
«Potrà forse sembrare strano che un discorso così impegnato, e che quasi promette di voler mettere mano a cielo e terra, possa prendere le mosse da una minutissima vicenda regionale, anzi locale, della cui levità par testimoniare il sorriso col quale a chi dà segni di agitazione immotivata chiediamo celiando: ti ha morso la tarantola?» (...) per continuare a leggere clicca sull'articolo
lunedì 8 agosto 2016
"Dolce serenata cantata da Schipa", di Eraldo Martucci su Nuovo Quotidiano di Puglia di domenica 24 luglio 2016
giovedì 4 agosto 2016
"Capone, il tarantismo e la musica popolare salentina ieri e oggi", recensione di Angelo Sconosciuto su La Gazzetta del Mezzogiorno del 30 luglio 2016 (ediz. di Brindisi)
Capone, il tarantismo e la musica popolare salentina ieri e oggi
Le «Osservazioni» per aggiornare un discorso
Davvero difficile stare dietro agli innumerevoli appuntamenti con la pizzica. Chi non danza discute e ciascuno propone le sue «letture» del fenomeno in cui confluiscono le sue conoscenze, il suo vissuto, i suoi sentimenti.

Di tutto ciò è ben consapevole Federico Capone, storico delle tradizioni popolari ed esperto di canzone dialettale leccese, che nelle sue "Osservazioni sul tarantismo e altri scritti sulla musica popolare salentina" (Capone Editore, pp. 128, con una dotta prefazione di Maurizio Nocera) dimostra come, checché se ne pensi, il tarantismo non si esaurisce con la spedizione dell'equipe guidata da Ernesto De Martino nel Salento, compiuta nell'estate del 1959 e i cui risultati furono pubblicati nel 1961 in La terra del rimorso, ma che piuttosto si è ricontestualizzato, adeguandosi a tempi e luoghi. «Si badi bene che questo "rimodellamento" non è esclusivo della contemporaneità, né appartiene soltanto al tarantismo – sottolinea l'autore –, è un fatto normale ne era convinto anche Ernesto de Martino, che riteneva il fenomeno "plasmato dalla cultura egemone"; proprio questa banalità regge tutto il ragionamento: il tarantismo altro non è che un risultato figlio della propria epoca. A testimonianza di questo vi sono i tanti paralleli – per modi e finalità del rito – distanti nel tempo e nello spazio rispetto al fenomeno così come è giunto a noi, quindi è chiaro che per comprendere appieno ciò che accade oggi, è necessario conoscerne la storia».
Queste "Osservazioni" si svolgono lungo la direttrice passato- presente, e così nella parte iniziale i documenti di prima mano danno solidità alle successive interpretazioni dell'autore, che la fanno da padrona nella seconda parte del saggio, per costituire, nell'insieme, una "storia" nel senso più ampio del termine, che inizia nel basso- medioevo – è, nell'undecimo secolo, infatti, che si sente parlare per la prima volta di "taranta" con Goffredo di Malaterra che nelle 'Gesta di Ruggiero' narra di un attacco, ad opera di ragni velenosi, subìto dall'esercito normanno accampato sul Monte Pellegrino, nei pressi di Palermo – ed arriva ai giorni nostri.
Proprio questa seconda parte è certamente la più fresca. Capone indaga gli sviluppi contemporanei, soffermandosi in particolare sul reggae+hiphop dei primi anni Novanta – che trova nel Salento terreno fertile grazie al Sud Sound System, gruppo composto da dj e toaster-sciamani – e sulla Notte della Taranta, il festival itinerante che ogni anno, nella serata conclusiva a Melpignano, richiama centinaia di migliaia di spettatori che, danzando sotto il palco, si liberano, almeno per poche ore, dei problemi quotidiani. Tutto ciò avviene grazie ad una musica che, forse, "tradisce la tradizione" coi suoni ma assolve pienamente alla funzione catartica assegnatale dal "tarantismo".
In questa direzione – la musica in grado di liberare – ampio spazio è dato alla canzone dialettale leccese e salentina che, fin dall'inizio del secolo scorso, ha contribuito a mantenere in vita una memoria che, passando dalla campagna alla città, sembrava dovesse scomparire ed invece si è rafforzata.
"Tracce", funge da intermezzo fra la prima e la seconda parte qui vi sono molte testimonianze di autori medioevali e moderni, che hanno scritto di tarantole da Alberto di Aquisgrana (XII sec.) a Tommaso Campanella.
In conclusione un ricco e suggestivo apparato iconografico con immagini che vengono pubblicate per la prima volta, tutte inerenti il tarantismo e più in generale la danzimania; sono da segnalare le opere inedite di Francesco e Massimo Pasca e quella di Salvatore Sciurti, ma anche una matrice, quasi sconosciuta di Antonio Tempesa (XVI-XVII secolo), nella quale sono raffigurati tre tipi di "tarantola" conosciuti, ossia il geco, il ragno e lo scorpione, ma anche la ri-lettura del mese di Giugno del mosaico di Otranto, ove vi sono due Gemelli che paiono danzare con le movenze della pizzica.
martedì 26 luglio 2016
"Osservazioni sul tarantismo ed altri scritti sulla musica 'popolare' salentina" di Federico Capone
Federico Capone
Osservazioni
sul tarantismo
Ed altri scritti
sulla musica popolare salentina
Prefazione di Maurizio Nocera

L'autore parte da questa premessa per tracciare una storia del tarantismo, attraverso un apparato documentale ampio e solido, e per indagarne gli sviluppi contemporanei che non possono prescindere dal reggae+hip hop e dalla Notte della Taranta, ma neppure dalla canzone dialettale leccese, tratto d'unione fra antico e moderno.
A corredo dello scritto un apparato iconografico con alcune immagini pubblicate per la prima volta.
Osservazioni sul tarantismo rappresenta uno strumento indispensabile tanto per l'appassionato che si avvicina alla tradizione musicale salentina, quanto per l'esperto che qui troverà nuove letture e documenti poco conosciuti.
Federico Capone, 1974, si occupa di storia delle tradizioni popolari, con particolare riferimento alla canzone dialettale leccese; fra le pubblicazioni ricordiamo: In Salento. Usi, costumi, superstizioni (Capone Editore 2003),Lecce che suona. Appunti di musica salentina (Capone Editore 2003), Hip Hop Reggae Dance Elettronica / Stile Salentino 1 (Stampa Alternativa 2004) e Viaggio nel Salento magico (Capone Editore 2013).
Federico Capone, Osservazioni sul tarantismo ed altri scritti sulla musicapopolare salentina, Capone Editore, Lecce 2016, ISBN 978-88-8349-202-0; 128 pagine, formato 15x21, illustrato
lunedì 26 ottobre 2015
Mosaico di Otranto, mese di giugno, i Gemelli che (mi) paiono tarantolati
Mosaico di Otranto, mese di giugno, i Gemelli che (mi) paiono tarantolati

La scena, raffigurante il mese di giugno, vede protagonista principale un contadino intento a mietere, in alto a destra il segno zodiacale dei Gemelli e, in basso a destra, due covoni. In alto a sinistra, all’esterno della cornice, una figura zoomorfa, probabilmente uno scoiattolo-spaventapasseri che batte i piatti per allontanare gli uccelli dal grano (cfr Grazio Gianfreda, "Il mosaico di Otranto", Edizioni Del Grifo, Lecce 2009). Questa la lettura più accreditata.
Noi, invece, alla scena abbiamo dato tutt’altra interpretazione, fantasiosa ma non priva di fascino: essendo giugno il mese della tarantola abbiamo immaginato nei due covoni e negli steli di grano sotto i piedi del contadino una scolopendra, un ragno e alcuni serpenti e nei Gemelli due giovani che paiono danzare quasi fossero stati pizzicati.
Lo pubblicherò prossimamente su un mio libro.
giovedì 22 ottobre 2015
All'ulivo, una poesia di Salvatore Toma
All'ulivo, di Salvatore Toma
Ulivo, io non credo
che siano di pace le tue fronde:
mutilato,
deforme
della terra figlio,
vivi nel dolore del dare
come un monumento.
Che cuore avrà mai
chi dice che non soffri
necessaria come sei,
nodosa forma?
domenica 18 ottobre 2015
Reggae+Hip Hop. La forza liberatrice dell'arte
Reggae+Hip
Hop. La forza liberatrice dell'arte
"Fondamentale
ti dico fondamentale
ritmo
vitale ritmo radicale
ma
l'importante credimi è comunicare
a
tempo pulsante è fondamentale"
(Militant
P, Fondamentale)
Imbracciare
un mito
Buongiorno
a tutti, sono veramente onorato di partecipare a questa tavola
rotonda* nella quale si cerca di dare risposta ad un quesito che non
è affatto banale: l'arte cura? Credo di sì, anzi ne sono certo e
argomento la mia risposta affermativa portando l'esempio di una
controcultura che qui nel Salento ha trovato larghissima diffusione,
ossia il Reggae+Hip Hop(1) che si propone di rendere libero
l'individuo e la società dalle nuove e vecchie oppressioni –
criminalità organizzata, droga, mala politica, baronie –
attraverso la riscoperta delle identità individuali e collettive. E
proprio la (ri)conoscenza delle origini rende caratteristica la
catarsi nel Raggamuffin locale: qui la rivoluzione non si attua
urlandola ma riacquisendo consapevolezza delle proprie radici: si
tratta di "imbracciare un mito"(2), quello della
tradizione, perché si stimoli un percorso di introspezione non solo
individuale che valorizzi il passato, in questo senso l'attività
artistica non è fine a se stessa, non aspira a divenire opera morta
da osservare nel chiuso di un museo, ma prende vita nella società,
vivacizzandola.
Jahman=shaman?
coincidenze nel suono e nei fatti
Non
so ancora se ciò che sto per dire sia direttamente collegabile alle
pratiche sciamaniche ma ho trovato molto gradevole il gioco di parole
"Scia(U)manesimo" perché ne richiama un altro proprio
della religione rasta: Jahman(3)
–
tradotto letteralmente significa "uomo-Jah", uomo di Dio –
che sta a significare, fra l'altro, l'avvicinarsi dell'uomo a Jah
(quindi lo spirito superiore), anche attraverso l'induzione di stati
modificati di coscienza.
Se
si parla di cultura rasta, si parla anche di Reggae e qui
Jahman,
può riferirsi all'artista-musicista che sta per avvicinarsi a Jah.
Jahman
rievoca nel suono sciamano (in inglese shaman);
è una coincidenza che mi consente di introdurre il discorso sul
movimento Reggae+Hip Hop che qui da noi ha trovato terreno fertile,
riscuotendo ampio consenso fra la gente e interessando la stampa ma
anche due autorevoli accademici, Piero Fumarola e Georges
Lapassade(4), che ne hanno fatto oggetto di analisi. È interessante
porre l'attenzione sul potere terapeutico di quei suoni, riconoscendo
al dj il ruolo di sciamano del mondo moderno, colui il quale riesce
ad affrancare dalle negatività gli ascoltatori danzanti attraverso
il sapiente utilizzo della musica e della parola (col suo potere
magico) quindi, oltre che nell'assonanza, la coincidenza fra sciamano
e Jahman
è anche nei fatti.
Dj=Jahman=Shaman
che cura il pubblico danzante, ponendosi sullo stesso piano
Si
aggiunga che nelle dance hall, che poi sono i luoghi ove si svolgono
queste feste, questi riti di liberazione contemporanei, il palco è
assente, e questo perché artista e pubblico, medico e paziente,
devono essere sullo stesso piano, di fronte, contrapposti, entrambi
alla ricerca di armonia; il terapeuta non trova pace fino a quando
non compie l'impresa assegnatagli: liberare l'invasato attraverso il
sapiente e cosciente utilizzo delle tecniche del mixing
e del toasting(5);
in questo senso l'arte, quand'anche non assolva al proprio compito, è
ritenuta potenzialmente in grado di guarire, cercando di portare
l'equilibrio assoluto(6).
Originalità
dello stile salentino
Ma
torniamo al Raggamuffin nel Salento, che nasce ufficialmente nel 1991
con il singolo Fuecu
(fuoco, forse con richiamo al fiah-fire
jamaicano) del Sud Sound System.
Fin
da subito si avanzò l'ipotesi del legame diretto fra questa nuova
musica e quella tradizionale delle campagne; probabilmente non si
avevano tutti i torti – benché dal punto di vista storico ciò
non trovi riscontro tanto è che il Raggamuffin indigeno è
connesso all'esperienza dialettale leccese urbana – vi sono diversi
riferimenti non solo testuali ma anche musicali con la precedente
esperienza rurale: alcune canzoni sono riprese dalla tradizione
orale(7) per essere rilette in chiave reggae, mentre le esibizioni
live e le registrazioni con tamburellisti salentini, quando il
toasting
è praticato al ritmo dei tamburelli, fungono da testimonianza
relativamente alla parte specificatamente sonora.
Questo
per quanto riguarda testo e musica; ora vediamo come la cultura
Reggae+Hip Hop si innesti a quella della tradizione di Terra
d'Otranto delle campagne (o viceversa), tanto da assumere una
connotazione del tutto specifica rispetto a quelle di origine,
creando dunque per provenienza e diffusione, un nuovo genere
popolare.
Nel
resto del mondo, pur avendo comuni radici nere, Reggae ed Hip Hop
sono due culture distinte e, anche se percorrono strade che portano
ambedue in direzione della pace, la prima è esperienza più
spirituale, mistica, legata com'è alla religione rasta, e cerca la
liberazione dell'uomo dall'oppressione dei potenti, attraverso il
ricongiungimento con Jah (Jahman)
e fra uomo e uomo (I
n I);
l'altra è urbana e, nata nei ghetti americani, si propone di
trasformare l'energia negativa in positiva, incanalando la violenza -
presente nelle strade e che scaturisce da conflitti fra bande rivali
- in tipi di sfide non basate sullo scontro fisico, che vedono
prevalere il più forte, ma sul duello artistico (attraverso la
pratica dell'attività, vocale, musicale, pittorica, della danza).
Fusione
di stili, idee. "Radici, cultura, tradizione"
In
Terra d'Otranto, almeno all'inizio, queste due culture si fondono,
realizzando uno stile nuovo rispetto al panorama locale, occupato
dalla canzone dialettale leccese-urbana che, dalla fine degli anni
Sessanta, aveva fatto proprie alcune problematiche legate al vivere
cittadino, ma ormai, avendo nella metà degli anni Ottanta esaurito
ogni spinta innovativa, non riusciva più ad intercettare se non in
minima parte i "nuovi giovani", quelli che erano costretti
ad emigrare per motivi non solo lavorativi ma anche di studio e che
quaggiù dovevano confrontarsi con problemi sociali che parevano
insormontabili.
Ecco
allora la novità: il Reggae+Hip Hop che "parla di radici,
cultura e tradizione"(8) riesce a svegliare l'interesse delle
nuove generazioni per la cultura della propria terra d'origine, tanto
da spingerli alla riscoperta delle fondamenta come unica possibilità
per affrancarsi dalle nuove schiavitù.
Rinascita
del territorio attraverso le vibrazioni positive
Ecco
perché il movimento salentino trova ampio riscontro in tutte le
fasce d'età, raggiungendo una popolarità all'inizio ritenuta
effimera da tanti. Inutile dire che a venti e passa anni di distanza
la scena è più viva e vivace che mai, e risponde alle esigenze di
un territorio che grazie a queste "positive vibrations",
per dirla alla Bob Marley, è riuscito a recuperare una identità che
rischiava di fermarsi al tarantismo.
In
questo senso l'arte ha curato non una persona, ma un territorio
intero, facendolo rinascere.
(*)
I giorni 11, 12, 13 settembre si è svolto a Nardò il convegno
“Sulle tracce del Terzo
Paradiso.
Dalle tradizioni popolari alle terapie del futuro. Dialogo fra Italia
e Finlandia per un nuovo Scia(U)manesimo”, organizzata dalla Rete
Euromediterranea per l'Umanizzazione della Medicina
Durante
la tre giorni, Italia e Finlandia si sono confrontate su antichi e
nuovi sciamanesimi “sulle tracce del Terzo
Paradiso
di Michelangelo Pistoletto, per la rinascita di un nuovo umanesimo,
per riunificare i vari mondi che animano l'individuo e la comunità e
anche per sperimentare forme di cura innovative”.
Sabato
12 ho partecipato alla tavola rotonda condotta da Eija Tarkianinen
che si proponeva di rispondere ad un quesito tutt'altro che banale:
“L'arte cura?”. Gli altri relatori erano: la psico-interprete
dell'arte Chiara Armillis, il regista Giuliano Capani (Unisalento),
l'antropologo Eugenio Imbriani (Unisalento) e lo psicologo Ilio Torre
Il
discorso si è incentrato su cosa fosse da considerare "arte"
ed "espressione artistica": ognuno fra i conferenzieri ha
espresso la propria opinione, come prevedibile differente da quella
dell'altro, e anche fra il pubblico, in tanti, hanno posto domande
ed esposto il proprio punto di vista; questo a dimostrare che su
concetti che non esistono in quanto tali "la" risposta non
sussiste.
Per
l'occasione avevo preparato una relazione (non tanto breve, in
realtà, sarebbe dovuta durare una decina di minuti) nella quale
spiegavo il perché, a mio avviso, l'arte cura ma non c'è stato
tempo per esporla.
Giacché
potevo in questa sede l'ho annotata essenzialmente, sperando possa
interessare.
Colgo
l'occasione per ringraziare la professoressa Rossana Becarelli, la
dottoressa Rosetta Sambati e la dottoressa Eija Tarkiainen che ho
avuto modo di apprezzare in un breve ma interessante colloquio a
Kurumuny.
(1)
Utilizzo volutamente il segno "+" al posto del trattino,
per meglio rendere l'idea della fusione delle due culture.
(2)
Ripreso da La
gioventù,
sul disco "La Rocha" dell'omonimo gruppo folk/punk
salentino.
(3)
Sintetizzo da altri – parola chiave: Bones (1986:46) - “'I' (io)
è la prima persona singolare, 'I' è Jah Rastafari, Haile Selassie
I, il primo e il solo. Jah è nero, così ne segue che 'I' è nero.
Nero, Jah ed 'I' e in questo senso sono termini intercambiabili
ognuno ha lo stesso significato dell'altro. Ogni Rastaman è
'Jahman'; così ogni 'Jahman' è un 'I man'. Da qui ogni 'I man' è
anche 'you man' (human). Ora, se 'I man' è differente da 'you man' o
da 'me man' è perché egli è la prima persona. Per questo da quando
Rasta è 'I', una moltitudine di Rasta è “I and I”.
(4)
Si veda Inchiesta
sull'Hip Hop,
Lecce 1991.
(5)
È una pratica vocale che consiste nel parlare/cantare su un ritmo.
Trova l
(6)
A questo punto, visto che eravamo a Nardò, avrei voluto potuto così
divagare: «[...]Ma Nardò è anche la patria di Luigi Stifani, il
barbiere taumaturgo delle tarantate, uno sciamano che riusciva col
suo violino (e l'orchestrina composta da un tamburellista ed un
fisarmonicista) a curare chi veniva morso dal ragno: la ricerca dello
spirito malvagio avveniva attraverso il paziente, Stifani, osservando
il malcapitato, riusciva a identificare il tipo di tarantola che
aveva inoculato il veleno e quindi selezionare la musica necessaria
per concludere positivamente il rito, questo ovviamente secondo la
tradizione.
Ovviamente
Stifani non è l'unico protagonista-guaritore in un fenomeno che deve
essere inteso, a nostro avviso, come un rito di possessione e
liberazione collettivo, le cui cause non possono essere ridotte a
ragioni di carattere economico e sociale del meridione Medievale,
sarebbe antistorico oltre che riduttivo: celebrando il rituale del
tarantismo si cercava di liberare l'individuo dallo spirito
maligno-tarantola che se ne era impossessato, su questo non c'è
alcun dubbio, però lo scopo era anche quello di allontanare il male
dalla società, altrimenti non si spiegherebbe una partecipazione
così ampia ed interessata (così raccontano i viaggiatori stranieri)
al cerimoniale, soprattutto da parte di quei contadini che erano
costretti a lavorare per tutta l'estate nei campi, sotto il sole,
correndo il rischio di incontrare la "taranta" che, pur
essendo un simbolo, faceva paura come se fosse realmente dannosa e
portava, in ogni caso, scompiglio, destabilizzando fragili equilibri.
Solo scacciando il male, simbolicamente, tutta la società poteva
riacquisire tranquillità.
Il
minimo comune denominatore dunque è lo stesso, tanto che sia un dj a
cercare di liberare la moltitudine danzante, tanto che sia la
moltitudine a cercare di liberare un solo invasato: la ricerca
dell'armonia, dell'equilibrio assoluto, che scaturisce dall'incontro
fra esorcista-sciamano e posseduto.
Questo
avviene attraverso la musica, che poi altro non è se non una
espressione artistica, tanto è che "L’uso
del suono, del ritmo, della vocalità ha accompagnato spesso le
attività di cura e guarigione nelle tradizioni di molti popoli.
Nello sciamanesimo artico, come nei riti amazzonici, il suono della
voce, la melodia del canto e il ritmo della musica producevano
effetti sui “pazienti”, così le percussioni nell’Africa nera o
la pizzica nel fenomeno del tarantismo salentino si avvalgono di
ritmi sincopati e iterativi per agire su fenomeni patologici di
malessere o di disagio psichico", come recita l'incipit "Dalle
tradizioni popolari alle terapie del futuro".
In
molti riti, per allontanare gli spiriti del male si causava un gran
baccano, anche "percuotendo l'aria con dei bastoni", per
utilizzare James Frazer, ma si pensi anche al tarantismo, al battere
incessante e ritmato dei tamburelli. Questa pratica è già attestata
in una delle prime tracce scritte sulla tarantola e risalente al XII
secolo, quando Alberto di Aquisgrana dice che "i Cristiani
impararono anche dagli abitanti del luogo che dovevano battere le
pietre con colpi frequenti o procurare altro rumore percuotendole
sugli scudi così che i serpenti venissero spaventati da questo
strepito e i compagni potessero così riposare tranquilli"; Era
forse una prima forma di musicoterapia per liberarsi dalle
"Tarenta"?».
(7)
Ma si pensi che il primo scratch in dialetto salentino è presente
già in Fuecu,
effettuato da Dj War su un brano del Canzoniere Grecanico.
(8)
Cito Treble in Reggae
Internazionale (1992).
mercoledì 2 settembre 2015
Se la taranta non morde e non è un ragno /// apparsa su Nuovo Quotidiano di Puglia del 01/09/2015
Se la taranta non
morde e non è un ragno
apparsa
su "Nuovo Quotidiano di Puglia" del 01/09/2015
Solo
oggi si scopre la verità sul morso del ragno, o meglio si scopre ciò che non è il
tarantismo, non legato al morso della tarantola che, a sua volta, non è un ragno.
Insomma: è
solo credulità
popolare, tradizione.
Lo
scopriamo perché
uno spot di due minuti ha fatto indignare Eugenio Imbriani, antropologo e
docente di Unisalento, un buono dal carattere mansueto, a tal punto da fargli
rassegnare le dimissioni da membro del consiglio scientifico della Fondazione
Notte della Taranta.
Ma
più
osserviamo il video e più ci pare che questo sia stato utilizzato come pretesto per
rendere pubblico uno stato, uso le parole del presidente del comitato
scientifico Sandro Cappelletto, di “disagio che il Consiglio vive da tempo”, ed ecco
allora che la sensibilità del professore “è stata ferita dalla banalità di una
ricostruzione inaccettabile” - sempre parole del Presidente.
Ora,
come tutti sanno, Sandro Cappelletto è un giornalista di chiara fama, pertanto se parla di “banalità” nella
ricostruzione non si può che prenderne atto, dato che egli, evidentemente, utilizza
come metro di giudizio i suoi originalissimi saggi sul tarantismo che, ce ne
dispiace, non abbiamo mai
incrociato in venti anni di ricerca (e divulgazione) sugli usi, i costumi, le
superstizioni di Terra d'Otranto, quindi tanto di cappello.
Siamo
un po' in disaccordo quando qualifica quella ricostruzione “inaccettabile”, e basta
guardare il filmato, che non aveva alcuna pretesa scientifica, per rendersene
conto.
Chiediamo
quindi, tanto all'accademico risentito quanto al divulgatore critico, se i tre
anziani sbagliano quando affermano che la “taranta non è una danza,
non è
una musica, ma è
un ragno”.
Crediamo di no; è
semplicemente la “banalità”
tradizionale che li spinge a ribadire ciò che sempre hanno vissuto - sembra essere tornati indietro,
ai tempi degli uomini con l’anello al naso da una parte e i colti stranieri di
provincia dall'altra - ma lo insegna anche la storia, ed in particolare
Goffredo di Malaterra (operante alla fine dell'XI secolo) in quella che è considerata
la prima testimonianza scritta nella quale si descrive il ragno: “Taranta
quidem vermis est aranea speciem habens” (“La tarantola è un verme che ha l'aspetto di un ragno”). In questo
c'è
stata una mancanza del regista, ci scusiamo noi per lui, che di sicuro la
prossima volta, per dare maggiore autorevolezza allo spot, chiamerà qualcuno
che parli latino, magari un docente universitario, non si sa mai che riesca
qualcosa di accettabile agli occhi degli specialisti, ma solo ai loro.
Dopo
gli eretici anziani c'è il nostro intervento che recita: “Secondo la
tradizione, chi veniva morso dal ragno, per curarsi, doveva danzare di modo che
sudando potesse espellere il veleno dal corpo”.
Non
si può
mettere in dubbio che fosse una credenza rinomata – leggasi
tradizione, uso, costume… - che si dovesse ballare (o comunque provocare sudore) per
espellere il veleno dal corpo: lo scrive sempre Malaterra (clibanica, o cura del forno caldo) e lo fa intendere anche Alberto
di Aquisgrana: “l'uomo
punto (per rimediare al morso del serpente-Tarenta)
doveva giacersi senza indugio con una donna, e viceversa”, poi si
potrebbe continuare citando il Mattiolo, e tanti altri ancora (o forse si tifa
per la cura esattamente opposta, quella proposta dal Mercuriale, il quale
consigliava di legare il malcapitato con funi?) ma si rischia di non uscirne più e di
annoiare il lettore.
Se
poi si vuol parlare di altri tipi di avvelenamento e di altre terapie ci piace
rimandare agli articoli apparsi su questo Quotidiano la scorsa estate.
Insomma,
si è
preferito dare un taglio storico/tradizionale piuttosto che antropologico,
senza avere la presunzione che un approccio sia superiore all’altro,
soprattutto in una clip di due minuti, nella quale non c'è il tempo
per filosofeggiare sul tutto e sul niente, spingendosi ad analizzare i legami
coi riti delle antiche civiltà del Mediterraneo, facendo poi un volo nel Baltico o altro
ancora…
quello al massimo si scrive negli articoli scientifici, che leggeranno in
pochissimi ma faranno far carriera, o nei libri che si trovano nelle librerie
delle persone comuni (“banali”?), che non fanno far carriera accademica ma danno altri
tipi di soddisfazione, non ultima quella di poter parlare/scrivere alla pari.
Infine
l'intervento di Antonio Durante, direttore del Museo di Storia Naturale del
Salento con sede a Calimera, per il quale il tarantismo non è provocato
dalla tarantola ma dalla vedova nera, è ovvio che parli da zoologo, non da etnomusicologo o
antropologo.
Quindi,
nel videoclip nulla per cui ci si debba far “cadere le braccia”, tanto da
rassegnare le dimissioni, ed infatti Eugenio Imbriani non si avvale della fonte
"banale e inaccettabile" (ma originale, ossia il sito della Notte
della Taranta) ma ritiene opportuno richiamarsi superficialmente, e questo mi pare quantomeno inusuale per
chi ha fatto della ricerca il suo vivere quotidiano, un link esterno nel quale
male si interpretava il significato del video.
Ci
dispiace, dunque, che sia bastato così poco perché fosse presa una scelta probabilmente irrevocabile, e che
un buono dal carattere mansueto abbia contestato ciò che non
poteva essere contestabile, dopo che in 18 anni di Notte della Taranta (da
tanto esiste il festival) non abbia mosso neppure una critica velata ad un
sistema che piace a pochi e che non ha prodotto quanto si sperava, nonostante
gli si fosse conferita autorevolezza accademica. Mentre per due minuti di
video, non proprio un colossal, attacca tutti. Per non attaccare nessuno.
Per
concludere chiediamo all'accademico risentito ed al divulgatore critico: “se il
tarantismo non è
legato alla taranta, e se questa non è un ragno, in cosa abbiamo creduto fino ad oggi (oppure, in
cosa abbiamo investito i nostri soldi)?”
federico
capone
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