giovedì 7 agosto 2014

Puglia e Taranta, storia secolare / / / Articolo apparso su Nuovo Quotidiano di Puglia di lunedì 4 agosto 2014

La tarantola di Puglia (unplugged)

Ernesto de Martino (1908-1965) rimane talmente colpito dalla descrizione degli incresciosi effetti causati dal morso della taranta fornita da Leonardo da Vinci (1452-1519) da ritenerla degna di aprire La terra del rimorso (1961). A detta dello scienziato toscano, quel ragno, inoculando il suo veleno nell’uomo, mantiene lo sventurato “nel suo proponimento, cioè quello che pensava quando fu morso”. Questa era una credenza molto rinomata fra il XV e il XVI secolo, e trova un’illustre precedente annotazione nell’Opus de venenis (composto fra il novembre del 1424 ed il maggio del 1426, ma pubblicato per la prima volta in Venezia nel 1492) di Sante Ardoini. Il medico pisano, descrive gli “accidenti” causati dalla punzione, da quelli comuni, inappetenza, dolore di stomaco, vomito a quello più singolare, ripreso poi da Leonardo da Vinci, che vuole che fino a quando il veleno non è espulso dal corpo, il malcapitato rimanga nello stesso stato d’animo in cui si trovava al momento del fatto. Da segnalare anche ciò che è scritto in una delle opere maggiori di Niccolò Perrotti arcivescovo di Sassoferrato (1430-1480), Cornucopiae sive latinae linguae commentarii; qui l’autore si premura di specificare che ci sono due tipi di tarantole, una rettile, lo Stellione, e l’altra, più propriamente della Puglia, che è invece un ragno, e che, se si è pizzicati da quest’ultimo, si può anche morire. Sarà poi Girolamo Mercuriale (1530-1606) nel suo Libro sui veleni, a descrivere più approfonditamente le conseguenze del morso del falangio di Puglia, simili a quelle causate dal morso dello scorpione e ne ribadisce la “solita” peculiarità: “quando morde uno, quello rimane nello stato e nel modo di fare in cui è stato punto finché il veleno non è stato espulso dal corpo, così che se punge qualcuno che cammina, quello camminerà sempre, se sta saltando, sempre salta, se sta ridendo sempre ride”, aggiungendo che “i rimedi per questo veleno sono da ricercarsi presso gli abitanti della Puglia”.
Basterebbe questo per legare la tarantola e tarantismo alla Puglia, ma ci sono anche voci discordi, come quella del medico Francesco Serao (1702-1783) che, nelle sue Lezioni accademiche sulla tarantola (1742), ritiene improbabile finanche accostare il solo nome del ragno a Taranto, liquidando tale etimologia come incolore. Probabilmente, se volessimo pensar male, egli muove questa obiezione più per spirito di critica verso i suoi predecessori e, in particolare, verso il suo predecessore Giorgio Baglivi (1688-1707) il quale sostiene che “si chiama tarantola non perché questo animale sia più velenoso in Taranto che negli altri paesi della Puglia, ma solo perché al tempo dei Greci e dei Romani quella città era o più frequentata delle altre, o più nobile, e però trovandosi in maggior numero malati afflitti da questo veleno, questo animale trasse dunque il suo nome” (De Tarantula. Dissertatio VI. De Anatome, morsu et effectibus -1695-, nella traduzione di Raimondo Pellegrini).
Probabilmente era sfuggito, al Serao, che già Goffredo di Malaterra nel De rebus gestis Rogerii... (1100 circa) associa il nome di taranta alla Puglia. Infatti, l’esercito normanno, che nel 1064 si accampa sul monte Pellegrino e viene molestato da questi ragni, proveniva dalla Puglia.
Senza contare poi che, fra il XVI e il XVII secolo, l’aracnide diviene identificativo della regione, tanto che Cesare Ripa (1555-1645), immagina nella sua Iconologia (1593) “la Puglia come una Donna di carnagione adusta che, vestita d’un velo sottile, abbia, sopra d’esso, alcune tarantole, simili a ragni grossi […] starà detta figura in atto di ballare” a questo aggiunge che avrà, al suo fianco, “diversi strumenti musicali e, in particolare, un tamburello ed un piffero”. Poco più avanti egli giustifica la presenza delle tarantole di diversi colori sul vestito della donna poiché “animali noiosissimi e unici in questa Provincia”, attribuendo a seconda del colore del ragno “diversi e strani accidenti” nel malcapitato che dovesse incorrere nel loro morso e, la presenza degli strumenti perché il veleno di questi animali si mitiga e si vince con la musica dei suoni […]”.
Abbiamo visto quindi che, almeno dall’XI secolo, la tarantola è legata alla Puglia e a Taranto.

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