sabato 9 novembre 2013

Note su parafrasi e riprese dantesche in "Lu nfiernu", di Giuseppe De Dominicis


Note su parafrasi e riprese dantesche in Lu nfiernu, di Giuseppe De Dominicis aka Capitano Black
Lu nfiernu di Giuseppe De Dominicis (aka Capitano Black) fu pubblicato nel 1893 presso la Tipografia Cooperativa di Lecce e rappresenta un’opera fondamentale per approcciarsi allo studio dei Canti de l’autra vita; questi, infatti, composti fra il 1894 ed il 1900, data quest’ultima che coincide con quella di stampa,  si aprono con ‘”Nfiernu”, cantica per molti aspetti simile a quella  del 1893, almeno fino al Cantu IV, quando il poeta necessita di allungare il canto e di far prendere altra piega alla situazione, cambiando in maniera sostanziale la trama.
Data l’importanza dello scritto, che è comunque degno di autonomia rispetto al ciclo completo dei Canti, Lu nfiernu è stato citato in vari saggi, molto spesso tuttavia più per “sentito citate”, che per averlo effettivamente letto. Gli scritti più autorevoli e significativi, e non poteva essere altrimenti, sono quelli di Donato Valli – contenuti in Storia della poesia dialettale del Salento (Lecce 2002/2003) e in Giuseppe De Dominicis e la Poesia dialettale tra ‘800 e ‘900 (Galatina 2005); Citato ma poco conosciuto, si diceva, e, per questo, abbiamo deciso di riproporlo al pubblico più ampio, includendolo nella raccolta antologica di Giuseppe De Dominicis dal titolo Pietru Lau, Farfarina e Piripiernu (Cavallino - Lecce 2011).  
Al tempo non ci fu possibilità, né onestamente ne sentivamo la necessità, di pubblicare questa analisi comparativa fra le due cantiche che, per questo, decidiamo di pubblicare ora su Internet, con i seguenti risultati:
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Per quanto riguarda le riprese c’è da segnalare che la versione del 1893 si apre, sul frontespizio-copertina, con una frase tratta dalla Divina Commedia e scritta in corsivo:
O voi ch'avete li 'ntelletti sani,

mirate la dottrina che s'asconde
sotto 'l velame de li versi strani”. (Inferno, IX, vv 61-63)

Nella chiusura di cinque canti su sei, vi sono invece parafrasi dantesche e, in particolare:
Dante Alighieri: Ed elli avea del cul fatto trombetta (Inferno, Canto XXI, verso 139)
De Dominicis: mentre del proprio cul fece trombetta (Lu nfiernu, Cantu I, verso 104 – di chiusura)
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Dante Alighieri: Dirò come colui che piange e dice (Inferno,  Canto V, verso 126)
De Dominicis: farò come colei che piange e dice (Lu nfiernu, Cantu II, verso 92 – di chiusura)
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Dante Alighieri: sì che il sangue facea la faccia sozza (Inferno, Canto XXVIII, verso 105)
De Dominicis: sì che il sangue facea la faccia sozza (Lu nfiernu, Cantu III, verso 92 – di chiusura)
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Dante Alighieri: Poscia, più che ‘l dolor poté 'l digiuno (Inferno, Canto XXXIII, verso 75)
De Dominicis: perché più del dolor potè il digiuno (Lu nfiernu, Cantu IV, verso 92 – di chiusura)
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Dante Alighieri: ambo le man per lo dolor mi morsi; (Inferno, Canto XXXIII, verso 33)
De Dominicis: ambo le mani dal furor si morse (Lu nfiernu, Cantu V, verso 84 – di chiusura)
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A queste vi è da aggiungere la seguente, che però è nel testo:
Dante Alighieri: la bocca mi basciò tutto tremante (Inferno, Canto V, verso 136)
De Dominicis: la bocca gli baciò tutta tremante (Lu nfiernu, Cantu II, verso 52; Cantu III verso 12)

Valli afferma nei suoi saggi citati che “ognuno dei canti che compongono il primo libretto, termina con il riporto di un verso dantesco adattato alla situazione” e scende più nel particolare quando, nell’analisi del 2005 (pag. 32), cita i versi dedominicisiani indicando, fra parentesi, la collocazione nell’Inferno dantesco; questo potrebbe andare bene per i primi cinque canti e per la parafrasi interna, ma è una interpretazione assolutamente sua personale quando, arrivati al Cantu VI, egli capovolge lo schema che precedentemente aveva seguìto, indicando stavolta non già un verso dedominicisiano, bensì uno dantesco: “Che molte volte al fatto il dir vien meno” (Inferno, Canto IV, verso 147), omettendo di indicare quello di Lu nfiernu che recita (riportiamo per intero l’ultima quartina): “[v 37. Mo nu sacciu cchiui: se n’a sciutu, / v 38. te lu diaulu te ddai cce se nde fice… / v 39. Signuri la nutizia ci nd’aggiu utu /] v 40. surtantu quiddu ci aggiu dittu dice”. Come si evince, non ha molto a che spartite con le precedenti parafrasi riprese dalla Divina Commedia.
A questo bisogna aggiungere due considerazioni che, a nostro avviso, non sono di poco conto:
a)     le parafrasi sono proposte in lingua italiana;
b)    nella versione a stampa in corsivo, mentre quest’ultimo verso è in dialetto e in tondo, né, col corsivo, il poeta cavallinese, ha voluto evidenziare una eventuale italianizzazione, poiché, quando egli rende in dialetto i vari nome Blondin, Sans Leruai, Talongu etc, non utilizza il tondo…
Non sono necessarie altre osservazioni.
Ai più, è sfuggito un particolare non piccolo che, a nostro avviso, richiama ancora la Commedia di Dante: il nome della figlia del capodiavolo e amante di Pietru Lau si chiama Farfarina. Come mai? A nostro avviso De Dominicis, compiendo un vero e proprio ribaltamento di genere, si richiama a Farfarello, un diavolo citato nella Divina Commedia, collocato tra I Malebranche.
Il nome di questo diavolo, deriva, con ogni probabilità dall’arabo farfar (folletto) e in toscano vi è, con significato simile fanfanicchio. Nel catanzarese, il vento del Sud che porta scompiglio si chiama Farfariadu
Farfarina dunque, ma siamo nell’ambito delle ipotesi, potrebbe essere il nome, ribaltato di genere, di Farfarello.


Cavallino di Lecce, ottobre 2011 

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