mercoledì 29 dicembre 2010

La terra del rimorso e l’errore di interpretazione


Ernesto De Martino compie, in La terra del rimorso (1961, da qui in avanti tdr), una operazione speculativa che ha innescato un processo irreversibile, contribuendo ad esaltare, su basi scientifiche estremamente discutibili (il lavoro è viziato da lacunosità palesi specialmente sul piano bibliografico, ma non solo), un fenomeno che, nella Terra d’Otranto, trovava, nella vita di tutti i giorni, uno spazio marginale: mi riferisco al tarantismo.
Gli studiosi indigeni, anziché ritenere tale lavoro un punto di partenza, qualora ce ne fosse stato bisogno, per gli studi sul tarantismo, un po’ per pigrizia, molto spesso per incapacità, hanno preferito allinearsi a posizioni trapassate e che, come si diceva, non hanno un minimo di scientificità  (inutile sottolineare come, in questo disastro, abbia contribuito l’accademia che, coi soldi dei cittadini, ha pubblicato, accanto a ricerche serie, anche scritti fantasiosi); spero di non apparire blasfemo ma, La terra del rimorso, appare, più che una pietra miliare, un libro sacro, non criticabile e che non necessita di alcuna verifica.
Eppure, non ci vuol molto (a chi fa il ricercatore)  a dimostrare che  il trinomio Galatina-San Paolo-Tarantismo altro non è che un’invenzione sette-ottocentesca, così come evidenzia lo storico Mario Cazzato (che non è sicuramente specializzato in etnomusicologia) in un saggio filologicamente ineccepibile e ricco di fonti bibliografiche poco conosciute dal titolo Da San Pietro a San Paolo. La cappella delle “tarantate” a Galatina (2007).
Certo si potrebbe trovare la giustificazione nel fatto che l’equipe demartiniana ha ristretto il proprio campo a

tutti coloro i quali, nell’estate del ‘59, erano coinvolti in una vicenda che li caratterizzava come “tarantati” presso la gente del luogo e partecipavano alla ideologia della cura del morso della  cura del morso della taranta mediante la musica. (…) Dal 28 al 30 giugno, cioè nei giorni della celebrazione festiva di Galatina, furono così identificati in cappella 35 tarantati, fra i quali ne furono scelti a caso 19 da visitare nei loro paesi di provenienza. (tdr, p. 43)

A tale affermazione, che trova la sua giustificazione nella delimitazione della ricerca dal punto di vista spaziale (Galatina, cappella di san Paolo), temporale (dal 28 al 30 giugno del 1959) e quantitativa (19 tarantati), nessun seguace di de Martino ha dato il giusto peso, facendo passare per scontato che il male del tarantismo e la sua guarigione fossero storicamente legati ad un incontro fra cristianesimo, inteso come religione unificante e stabile, e cultura popolare.
Sarebbe in realtà bastato leggere a random gli scritti dei viaggiatori stranieri e degli storici locali inerenti gli usi e i costumi di Terra d’Otranto e della Puglia –con particolare riferimento al tarantismo– per rendersi conto di quanto rari siano i riferimenti a Galatina ed a san Paolo, non solo, ci si accorgerebbe di quanto è raramente citata anche solo la guarigione per intercessione dei santi: una ulteriore dimostrazio che il binomio tarantismo-religione (quantunque popolare) fosse un fatto “di nicchia”.
La mancanza di attenzione verso i diari dei viaggiatori stranieri e degli storici locali trova giustificazione demartiniana nel fatto che tali rappresentazioni fossero considerate poco più che “impressionistiche”

Quanto ai libri di viaggio ve ne sono alcuni, come p. es. quello di C. A. Meyer e il famoso Corricolo di Alessandro Dumas, che contengono senza dubbio impressioni talora fresche sul cattolicesimo popolare e sulla bassa magia cerimoniale, ma al più si tratta di documenti da utilizzare con le dovute cautele, di “reazioni” del viaggiatore straniero di fronte alla realtà meridionale, e di giudizi “impressionistici”. (tdr p. 29)

Con tale ufficiale esclusione, De Martino non sbaglia mira: tali scritti, non sono funzionali allo scopo della ricerca, in ogni caso, prima di escluderli, deve pur sempre averli letti.
Se poi paragoniamo le storie raccontate e analizzate in La terra del rimorso, ci rendiamo conto di quanto queste appaiano simili a quelle rappresentate nei diari “impressionistici”, solo che, nel libro demartiniano, c’è il legame con san Paolo.
Nulla toglie che una serie di eventi fortunati abbia portato de Martino e la sua equipe ad imbattersi in casistiche così ampie nel giro di pochi giorni (cromoterapia, musicoterapia, tarantismo umido, tarantismo secco e così via...) e che quindi fossero effettivamente all’oscuro di quanto precedentemente scritto da altri.
Se così fosse, la tesi secondo la quale quei diari erano impressionistici verrebbe ribaltata o, al contrario, La terra del rimorso, nulla sarebbe se non uno scritto “impressionistico”.
Tuttavia, quello che più dovrebbe far riflettere è la parte riguardante l’innesto del tarantismo col clero locale; a questo de Martino attribuisce la causa principale del decadimento del fenomeno

Il clero locale, nel suo tentativo di innestare il tarantismo nel culto di San Paolo, aveva amputato coattivamente il tarantismo dell’esorcismo musicale, escludendo i “suoni” dalla cappella di Galatina, e ottenendo non già l’impossibile innesto, ma la disgregazione del fenomeno culturale e la sua riduzione all’aspetto “crisi”: occorreva ora sottrarlo in primo luogo dalla cappella, poiché per un tarantismo così “ridotto” la sede più adatta non era la cappella ma l’ospedale o la clinica neuropsichiatrica. (tdr p. 380)

Anche questa è una considerazione sua personale e facilmente contestabile e ribaltabile.
E se invece il clero, fosse stato effettivamente considerato per ciò che era, cioè elemento conservatore e non distruttore delle credenze popolari? La risposta sarebbe semplice: sta proprio nell’innesto la sopravvivenza di un fenomeno che, già allora, andava concludendosi.

 È possibile affermare che nella stagione del ‘59 i tarantati nel Salento non saranno stati complessivamente molto al di sopra delle 100 unità. (tdr, p. 44)

Se effettivamente, e non c’è motivo di dubitarne, le unità tarantate erano limitate a 100,  così come affermato, vuol dire che il fenomeno era estremamente marginale, considerato il fatto che la popolazione della provincia di Lecce, nel 1961, due anni dopo la discesa di de Martino contava 678338 abitanti.
Sergio Torsello, intellettuale salentino rileva che

L’apparizione de La terra del rimorso, è bene tenere conto, passa pressoché inosservata al mondo intellettuale locale. Bisognerà aspettare gli anni del folk revival (che nel Salento trova il suo statuto fondativo con il celebre disco del Canzoniere Grecanico Salentino del 1976), perché i temi della musica e della cultura popolare (e quindi anche il tarantismo) siano immessi lentamente nel circuito del dibattito locale (Gabriele Mina - Sergio Torsello, La tela infinita. Bibliografia degli studi sul tarantismo mediterraneo 1945-2004, Nardò 2005, pag. 16).

Visti i dati di cui sopra, non c’è da meravigliarsi più di tanto se gli intellettuali locali dell’epoca non presero in considerazione tale scritto. Al massimo ci si dovrebbe meravigliare di come oggi tutto ruoti attorno a tanta fumosità.
Questione di mancanza di studi? Questione di moneta? Non è compito mio, che sono fuori da certi giri,dare risposte.
Non posso comunque dare torto ad Eugenio Imbriani, docente presso l’Università del Salento e direttore della collana “Biblioteca sul tarantismo” quando afferma che

Le manifestazioni folkloriche si sono trasformate in gran parte in operazioni di tipo turistico-gastronomico, e che gli epigoni del mondo tradizionale (definiamolo ancora così, malgrado i dubbi sulla sua reale esistenza) sono più facilmente riconoscibili in termini di deprivazione culturale, di ignoranza, non sarebbe una cattiva idea proporre, con una punta di moralismo, certamente, la cultura come valore. (Eugenio Imbriani, Nel paese delle livree. Folklore in frammenti, Lecce 1990). 

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