Note su parafrasi e riprese dantesche
in Lu nfiernu, di Giuseppe De
Dominicis aka Capitano Black
Lu
nfiernu di Giuseppe De Dominicis (aka Capitano Black) fu pubblicato
nel 1893 presso la Tipografia Cooperativa di Lecce e rappresenta un’opera
fondamentale per approcciarsi allo studio dei Canti de l’autra vita; questi, infatti, composti fra il 1894 ed il
1900, data quest’ultima che coincide con quella di stampa, si aprono con ‘”Nfiernu”, cantica per
molti aspetti simile a quella del
1893, almeno fino al Cantu IV, quando
il poeta necessita di allungare il canto e di far prendere altra piega alla
situazione, cambiando in maniera sostanziale la trama.
Data l’importanza dello scritto,
che è comunque degno di autonomia rispetto al ciclo completo dei Canti, Lu nfiernu è stato citato in vari saggi, molto spesso tuttavia più
per “sentito citate”, che per averlo effettivamente letto. Gli scritti più
autorevoli e significativi, e non poteva essere altrimenti, sono quelli di
Donato Valli – contenuti in Storia
della poesia dialettale del Salento (Lecce 2002/2003) e in Giuseppe De Dominicis e la Poesia dialettale
tra ‘800 e ‘900 (Galatina 2005); Citato ma poco conosciuto, si diceva, e, per questo,
abbiamo deciso di riproporlo al pubblico più ampio, includendolo nella raccolta
antologica di Giuseppe De Dominicis dal titolo Pietru Lau, Farfarina e Piripiernu (Cavallino - Lecce 2011).
Al tempo non ci fu possibilità, né
onestamente ne sentivamo la necessità, di pubblicare questa analisi comparativa
fra le due cantiche che, per questo, decidiamo di pubblicare ora su Internet,
con i seguenti risultati:
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Per quanto riguarda le riprese
c’è da segnalare che la versione del 1893 si apre, sul frontespizio-copertina,
con una frase tratta dalla Divina
Commedia e scritta in corsivo:
“O voi ch'avete li
'ntelletti sani,
mirate
la dottrina che s'asconde
sotto 'l
velame de li versi strani”. (Inferno,
IX, vv 61-63)
Nella chiusura di cinque canti su sei, vi sono invece
parafrasi dantesche e, in particolare:
Dante Alighieri: Ed
elli avea del cul fatto trombetta (Inferno,
Canto XXI, verso 139)
De Dominicis: mentre
del proprio cul fece trombetta (Lu nfiernu, Cantu I, verso 104 – di chiusura)
_
Dante Alighieri: Dirò come colui che piange
e dice (Inferno, Canto V, verso 126)
De Dominicis: farò come colei che piange e
dice (Lu nfiernu, Cantu
II, verso 92 – di chiusura)
_
Dante Alighieri: sì che il sangue facea la faccia sozza (Inferno, Canto XXVIII, verso 105)
De Dominicis: sì che il sangue facea la
faccia sozza (Lu nfiernu,
Cantu III, verso 92 – di chiusura)
_
Dante Alighieri: Poscia, più che ‘l dolor poté 'l
digiuno (Inferno, Canto XXXIII, verso 75)
De Dominicis: perché più del dolor potè il digiuno (Lu nfiernu, Cantu IV, verso 92 – di
chiusura)
_
Dante Alighieri: ambo le man per lo dolor mi
morsi; (Inferno, Canto XXXIII, verso 33)
De Dominicis: ambo le mani dal furor si morse (Lu nfiernu, Cantu V, verso 84 – di
chiusura)
_
A queste vi è da aggiungere la seguente, che però è nel testo:
Dante Alighieri: la
bocca mi basciò tutto tremante (Inferno, Canto V, verso 136)
De
Dominicis: la
bocca gli baciò tutta tremante (Lu
nfiernu, Cantu II, verso 52; Cantu III verso 12)
Valli
afferma nei suoi saggi citati che “ognuno dei canti che compongono il primo
libretto, termina con il riporto di un verso dantesco adattato alla situazione”
e scende più nel particolare quando, nell’analisi del 2005 (pag. 32), cita i
versi dedominicisiani indicando, fra parentesi, la collocazione nell’Inferno
dantesco; questo potrebbe andare bene per i primi cinque canti e per la
parafrasi interna, ma è una interpretazione assolutamente sua personale quando,
arrivati al Cantu VI, egli capovolge lo schema che precedentemente aveva
seguìto, indicando stavolta non già un verso dedominicisiano, bensì uno
dantesco: “Che molte volte al fatto il dir vien meno” (Inferno, Canto
IV, verso 147), omettendo di indicare quello di Lu nfiernu che recita
(riportiamo per intero l’ultima quartina): “[v 37. Mo nu sacciu cchiui: se n’a
sciutu, / v 38. te lu diaulu te ddai cce se nde fice… / v 39. Signuri la
nutizia ci nd’aggiu utu /] v 40. surtantu
quiddu ci aggiu dittu dice”. Come si evince, non ha molto a che spartite
con le precedenti parafrasi riprese dalla Divina Commedia.
A
questo bisogna aggiungere due considerazioni che, a nostro avviso, non sono di
poco conto:
a) le parafrasi sono proposte in lingua italiana;
b)
nella versione a stampa
in corsivo, mentre quest’ultimo verso è in dialetto e in tondo, né, col
corsivo, il poeta cavallinese, ha voluto evidenziare una eventuale
italianizzazione, poiché, quando egli rende in dialetto i vari nome Blondin,
Sans Leruai, Talongu etc, non utilizza il tondo…
Non sono
necessarie altre osservazioni.
Ai più, è sfuggito un particolare non piccolo che, a
nostro avviso, richiama ancora la Commedia
di Dante: il nome della figlia del capodiavolo e amante di Pietru Lau si chiama
Farfarina. Come mai? A nostro avviso De Dominicis, compiendo un vero e proprio
ribaltamento di genere, si richiama a Farfarello, un diavolo citato nella Divina Commedia, collocato tra I Malebranche.
Il nome di questo
diavolo, deriva, con ogni probabilità dall’arabo farfar (folletto) e in toscano vi è, con significato simile fanfanicchio. Nel catanzarese, il vento del Sud che
porta scompiglio si chiama Farfariadu…
Farfarina dunque, ma
siamo nell’ambito delle ipotesi, potrebbe essere il nome, ribaltato di genere,
di Farfarello.
Cavallino di Lecce, ottobre
2011
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