Quando la tarantola
“conquestava la Sichilia”
Allo stato attuale degli studi,
quella di Goffredo Malaterra (XI sec.) risulta essere la prima testimonianza
dell’uso del termine Taranta intesa come verme capace, col suo pizzico,
di avvelenare chi vien punto (“La tarantola è un verme che ha l’aspetto di
un ragno, ma ha un aculeo velenoso e di puntura spiacevole”). Il monaco
benedettino, oltre ad esporre gli effetti molesti del morso ne suggerisce un
rimedio, che egli chiama clibanica, consistente nell’“infornare” il
malcapitato perché questi sudasse, espellendo così il veleno. A supporto di
tale interpretazione, riportiamo due documenti che illustrano in maniera
immediata e vivace, questo singolare trattamento.
Il primo, risalente al 1358, è
tratto da un manoscritto di fra’ Simone da Lentini La Conquesta di Sichilia,
ed è un rimaneggiamento in siciliano dell’opera del Malaterra.
La conquesta di Sicilia. Capitulo XV. Comu lu Duca
Rubertho vinni in ayuto di lo Conti, per prindiri Palermu, et poi appiro grandi
vittoria di li Palermitani.
Essendu lu Duca Ruberto in Pugla, et
audendo chi so frati in Sicilia avia grandi affanni et periculi […] vinni in
Calabria, per veniri in Sicilia ad ayutari a so frati. […] Anno milli LXIV.
Passaru lu Faru, lu Duca et lo Conti solamenti cu CCCCC homini di cavallo; et
vinendu in Sicilia, discurrendu per tutti li terri, non trovaro nullo ascontro
di inimichi: et camminandu per Palermu, si misiro in uno munti, ch’appi nomu
Munti Tarantino, per li multi tarantuli chi si generano; eta a quillo tempu era
tanta la moltitudini di li tarantuli, chi lo campo, et li Normandi ni foro
grandimenti offisi; et la natura di quisti tarantuli è chi a qualunque persona
ch’è muccicata si genera tanta ventositati ch’è una cosa stupenda ad intendiri
la ventositati, chi nexi di lo corpo muccicato; et non cessa quista ventositati
fin chi lu muccicatu non s’ha misu intro uno furno caudu; et multi ni morino:
vero chi uno chalouru in principiu secundu tiriria tali veneno fora. […].
***
Per avere ulteriore conferma che clibanica
debba essere inteso come “cura del forno”, riportiamo quest’altra
“scoppiettante”, è il caso di dirlo, descrizione di Nicolò Palmieri, tratta
dalla Somma della Storia di Sicilia di Niccolò Palmieri (Editore
Giuseppe Meli, Palermo 1856).
“Narra il Malaterra, che il duca
Roberto e ’l conte Ruggiero col loro esercito vennero ad accamparsi sopra un
monte nei dintorni di Palermo, il quale ebbe in appresso il nome di Tarantino,
per la quantità de’ ragnatelli, che vi erano, nel latino barbaro chiamate tarantae,
onde venne il nome siciliano tarantuli. I morsi di tali insetti
producevano una strana malattia. Gl’intestini s’empivano d’aria; per lo che
tutti, ch’erano su quel monte, divennero petardi, e se non s’esponevano sulle
prime al calore del forno, ne morivano. Nessuno dei monti, che circondano
Palermo, ha mai avuto il nome di Tarantino; i morsi de’ ragnatelli, come ché ve
ne fossero dei velenosi, non hanno mai prodotto quello strano male. Forse
alcuno de’ cavalieri normanni avrà detto ciò per celia a Malaterra, e ’l buon
monaco se la bevve. Ma nel proemio della storia ei si protesta che gli errori
di essa: non tam mihi, quam relatoribus, culpando adscribantur; praesertim
cum de ipsis temporibus, quibus fiebant, praesentialiter non interfuissem, sed
a transmontanis partibus venientem, noviter Apulum factum, vel certe Siculum ad
plenum cognoscatis”.
***
Ultimissima nota: Per il Du Cange se “Clibanicus” è pane cotto in
argilla, “Clibanus” è uno strumento di ferro, di argilla o di qualsiasi
altro materiale sotto il quale è possibile cucinare di tutto, non solo il pane.
I Galli la chiamano “campana”, poiché somiglia a quella figura. Differisce
tuttavia dal forno sia perché è mobile, sia perché è più piccolo e perché è
fatto di altri materiali.
(1)
“I nostri molestati dalle tarantole”, tratta dal De rebus gestis Rogerii
Calabriae et Siciliae comitis et Roberti Guiscardi ducis fratris eius, Lib.
II, Cap. XXXVI, nell’edizione Pontieri del 1928 e da noi rielaborata in Viaggio
nel Salento magico, Lecce 2013.
(2)
Quella che qui proponiamo è la trascrizione a stampa curata da Vincenzo di
Giovanni, Cronache siciliane, Gaetano Romagnoli 1865.
(3)
Riduzione in italiano: La
conquista della Sicilia, Capitolo XV, Come il duca Roberto andò in aiuto del
conte, per prendere Palermo. Il duca Roberto, mentre era in Puglia, venne a
sapere che suo fratello, in Sicilia, si trovava in gravi difficoltà e, così, si
mosse per l’isola, passando per la Calabria, per portargli aiuto. […] Anno
1064. Il Duca e il Conte, passarono il Faro con soli 500 cavalieri e, una volta
arrivati in Sicilia, non incrociarono nemico alcuno. Procedendo verso Palermo
posarono le tende su un monte chiamato Tarantino, a causa della gran quantità
di tarantole che lo infestava; In quella stagione era tanta la moltitudine di
ragni che in tanti, fra i Normanni, ne furono offesi. La natura particolare di
queste tarantole sta nel fatto che generano talmente tanta aria in chi è morso
che la pancia si gonfia, provocando ventositati (flatulenza, ndr)
straordinaria che non finisce fino a quando il malcapitato non è messo nel
forno caldo – in nota Vincenzo di Giovanni scrive che “Il Malaterra così dice
del rimedio di questo chalouru o calura come oggi si sente, e calore
nel volgare comune. Onde il chalouru è il ferventior aestuatio (il
caldo più feroce, ndr), o il clibanica dello storico
normanno” –, molti perirono a causa dell’aria nella pancia. Il principio è che
il calore, facendo sudare, espelle il veleno.
(4)
Charles
Du Fresne Du Cange, Glossarium ad scriptores mediae et infimae
latinitatis, 1733.
(5)
Panis in testa coctus.
(6)
(Cibanus
est)
Instrumentum ex ferro aut opere figlino, aut alia materia confectum, sub quo
non solum panis, sed aliud quidvis coqui potest. Campanam Galli vocant, quod ad
eam figuram proxime accedat. Differt autem a furno, tum quia mobile sit, tum
quia minus, aliaque insuper materia constet.
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