Nota sul tarantismo
Una sintesi vivacissima dei sintomi e dei danni,
talvolta permanenti, prodotti dal veleno tarantolino è data da Achille
Vergari, nel suo Tarantismo (1839): “Se le sofferenze
prodotte dal veleno delle tarantole non passano del tutto, restano
dissesti cronici […] fra gli altri è una particolare malinconia e
talvolta stupidezza, la quale dura sino a che il veleno tarantolino o
le modificazioni indotte non vengono tolte […]. I fenomeni
ipocondriaci dei tarantolati sono: desiderio dei luoghi solitari e
dei sepolcri, di stendersi sui feretri a guisa dei morti, e di
gettarsi nei pozzi. Le donne sogliono perdere la verecondia facendo
delle cose oscene. Altri amano rotolarsi nel fango; altri trovano
diletto nell'essere battuti, altri nella corsa a salti, da cui la
definizione di morbus saltatorius. I colori spiegano diverse
azioni sui tarantolati, piacevoli e sgradevoli, sino a farli divenire
furiosi”, per quanto riguarda la ciclicità del fenomeno e la
particolare sensibilità ai suoni, Achille Vergari continua scrivendo che
“I tarantolati, dopo essere guariti dall'acuzie morbosa, sogliono
restare per qualche tempo malsani e, soprattutto, in una specie di
vacuità. […] Tutti i tarantolati, nel tempo della stagione calda,
nonostante fuori dalle sofferenze, nell'accordo degli strumenti
musicali sentono grate ed eccitanti emozioni.
I
tarantolati dopo il parossismo non ricordano ciò che hanno fatto,
non più appetiscono quel che desideravano, e paiono destati da
profondo sonno o delirio”.
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