domenica 18 maggio 2014

Achille Vergari, nota sul tarantismo


Nota sul tarantismo 
Una sintesi vivacissima dei sintomi e dei danni, talvolta permanenti, prodotti dal veleno tarantolino è data da Achille Vergari, nel suo Tarantismo (1839): “Se le sofferenze prodotte dal veleno delle tarantole non passano del tutto, restano dissesti cronici […] fra gli altri è una particolare malinconia e talvolta stupidezza, la quale dura sino a che il veleno tarantolino o le modificazioni indotte non vengono tolte […]. I fenomeni ipocondriaci dei tarantolati sono: desiderio dei luoghi solitari e dei sepolcri, di stendersi sui feretri a guisa dei morti, e di gettarsi nei pozzi. Le donne sogliono perdere la verecondia facendo delle cose oscene. Altri amano rotolarsi nel fango; altri trovano diletto nell'essere battuti, altri nella corsa a salti, da cui la definizione di morbus saltatorius. I colori spiegano diverse azioni sui tarantolati, piacevoli e sgradevoli, sino a farli divenire furiosi”, per quanto riguarda la ciclicità del fenomeno e la particolare sensibilità ai suoni, Achille Vergari continua scrivendo che “I tarantolati, dopo essere guariti dall'acuzie morbosa, sogliono restare per qualche tempo malsani e, soprattutto, in una specie di vacuità. […] Tutti i tarantolati, nel tempo della stagione calda, nonostante fuori dalle sofferenze, nell'accordo degli strumenti musicali sentono grate ed eccitanti emozioni.

I tarantolati dopo il parossismo non ricordano ciò che hanno fatto, non più appetiscono quel che desideravano, e paiono destati da profondo sonno o delirio”.

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