Diversi anni addietro paragonavo le cose.
Paragone
Anche quest'anno, come da un decennio ormai, si
è voluta paragonare la "musica popolare salentina" (quale, poi?
quella della campagna, quella della città, quella delle bande, etc.) a qualche
altra musica del mondo, e si è arrivati a scomodare addirittura “il jazz” e “la
classica”, segno evidente che Flamenco e Reggae, musiche più povere e meno
intellettuali, hanno fatto il loro tempo.
È bene chiarire fin da subito che, dal punto di
vista della storia della musica, il paragone non regge, se non altro perché
Jazz e “classica” hanno una propria storia, diversa dalla nostra: non nascono
dall'oggi al domani bensì scaturiscono da processi di cambiamento lenti e
profondi in contesti di vere e proprie civiltà, non solo musicali, saldamente
ancorate alle radici. A creare e rafforzare questo legame con le radici, prima
ancora dell'arte, sono stati lavori storici seri ed autorevoli che hanno dato
consapevolezza ai protagonisti del proprio retroterra culturale, la stessa
consapevolezza che in Salento è carente, poiché mancano gli studi.
Perché dunque tirare in ballo Jazz e “classica”?
Penso per motivi che con la musica c'entrano poco, "il jazz" e
"la classica" sono, nella polemica superficiale, intesi in maniera
quantomeno grossolana: come generi standardizzati, senza tener conto delle tante,
infinite, sfumature e paradossi che li caratterizzano (Davis, Hancok, Zawinul
sono da inserire nella classica o nel Jazz?, E Satie, Mussorgsky, Ravel, sono
da considerarsi artisti "classici"?).
Se l'etichetta è giustificabile da un punto di
vista commerciale, perché la musica racchiusa in un "genere" riesce
con più facilità a penetrare il mercato, fungendo da specchietto per le
allodole per l'acquirente, non vuol dire che debba avere la stessa funzione per
lo storico.
Solo in questo senso un paragone fra le
succitate musiche e quella locale si può abbozzare, col rischio, neppure tanto
remoto, che "la musica popolare salentina", come "il jazz” e
"la classica", divenga un marchio sotto il quale far passare di
tutto, cosa che tra l’altro già accade.
Quando Alan P. Merriam affermava che la “musica
è stabile ma non statica”, dava per scontato che questa (la musica), in quanto
espressione culturale (come la religione, d'altronde, che in periodi più laici
era considerata l'oppio dei popoli), ha in sé un potere altresì stabilizzante,
rassicurante se vogliamo, per chi cerca i luoghi comuni e le certezze,
soprattutto quando c'è carenza di critica seria e non si sente più la necessità
di leggere la storia.
Sul potere stabilizzante delle espressioni
culturali, è stato molto più esplicito Charles Bukowski quando affermava che
“Il regime è preoccupato per la sua cultura. La cultura è un elemento
stabilizzante. Non c'è niente di meglio di un museo, di un'opera di Verdi o di
un poeta con tanto di riconoscimenti ufficiali per ricacciare il progresso
indietro”.
Con questo non voglio affermare che la “cultura
popolare” sia oggi imposta dall'alto, anche se è pur sempre una potenziale arma
di gestione del potere, semplicemente noto che troppi intellettuali salentini,
anziché andare avanti con la ricerca e con l’analisi, si perdono dietro la moda
del momento.
La cultura, dovrebbe nutrirsi dello scontro di
idee e del dialogo, la polemica a sé stante è priva di senso e non è funzionale
alla crescita di un territorio che ancora deve decidere cosa sarà da grande, e
non può perennemente esser fatto passare, a seconda delle convenienze, come
"Terra di Mezzo", e quindi del centro “tradizionalmente” inteso, o
come “Sud dei Sud” e quindi terra destinata a rimanere ai margini e magari a
piangersi addosso.
La “Notte della Taranta” è un evento importante,
un laboratorio dove si creano nuove forme musicali, ibridi che sicuramente con
la musica salentina possono non aver nulla a che fare, ma che aiutano il
territorio a crescere più delle polemiche di campanile di chi resta ancorato a
retaggi dai quali la musicologia mondiale si è affrancata da tempo (quali
quelli sulla maggiore "originalità" di un brano rispetto ad un
altro), retaggi sterili che lasciano ben poco spazio alla ricerca sulla cultura
salentina che necessita invece di una nuova lettura della propria storia (se di
lettura ce n'è mai stata una), anche musicale.
E questo perché si possa parlare poi di civiltà,
anche musicale, di Terra d'Otranto.
Solo allora il paragone con le altre musiche del
mondo potrà realmente reggere, non solo dal punto di vista commerciale, quindi
come marchio su una maglia di calcio, come un festival che fa parlare di
Salento una volta l'anno, ma anche dal punto di vista culturale, che poi è la
prospettiva che più dovrebbe interessare alla gente comune e, forse, anche a
qualche intellettuale.
Ma se il Salento riuscisse a riappropriarsi
della propria identità, non solo a parole ma nei fatti, allora ci sarebbe ben
altro su cui discutere e si andrebbe più cauti nello snocciolare paragoni a
gò-gò.
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