Tommaso Campanella, "De sensu rerum et magia", Libro V - Capitolo X, 1620.
«[...] Nell’agro della città di Taranto nascono animaletti della grandezza di una nocciola, per figura di viso e numero di piedi simili quanto più possibile ai ragni, di colore vario e sfumante per lo più verso il rossiccio, il verde, il violaceo. Quando è il tempo della raccolta, avendo questo animale punto gli uomini, questi cadono a terra stupefatti e non si trovano giovamento se non nel suono della musica e, rallegrati, saltellano tanto a lungo finché non cacciano, sudando, il veleno. Una volta guariti, tuttavia, se vedono altri saltellare, saltellano. Ogni anno nello stesso periodo tornano alle medesime sofferenze, finché il ragno che li ha morsi rimane in vita, se si prestia fede agli abitanti, che spesso io interrogai quando, con i marchesi Del Tufo, dimoravo in Puglia. Quanto dettoci non è vano, poiché anche colui il quale si rifece il naso amputato con la carne del braccio di un servo, ebbe viva la particella del naso fin quando il servo era in vita; dopo la morte, marcendo il corpo del servo, anche la particella si vedeva marcire [...].
Pertanto la musica non agisce direttamente sul veleno, ma sullo spirito tenue, mobile e aereo, che espelle il veleno attraverso i sudori provocati dall’agitarsi del corpo [...]».