sabato 14 marzo 2015

Scuola, reclutamento e meritocrazia.

In Italia pare che tutto si basi sulla “meritocrazia”, considerandola un bene, e questo anche nella scuola. 
Fa nulla se poi si ha un effetto forbice destinato ad ampliarsi fra i pochi che hanno il posto fisso assicurato –senza oneri e senza onori, in verità– e i tantissimi precari che lo desidererebbero –e nel frattempo non godono di alcun diritto lavorativo–. E che dire poi della lontananza siderale della scuola dal mondo reale? non ci sono i fondi per assumere, figurarsi per la tecnologia... meglio che l'alunno formi da sé una “coscienza digitale” (i risultati li vedremo fra qualche anno), dato che non c'è tempo per insegnare come utilizzare Internet per sviluppare temi più complessi che non si limitino alla ricerca e alla consultazione della prima voce che appare su Wikipedia.
L'importante è che ci sia la “meritocrazia” nella scelta degli insegnanti, dopo la discrezionalità del preside. 

Pazienza se questo termine, fra giri, rigiri e interpretazioni buoniste, sia tornato ad avere la sua accezione originale (negativa). Illustriamone brevemente i passaggi:

1) Apprendiamo da Internet che il termine fu coniato nel 1958 da Michael Young. Egli gli attribuisce (come noi, ma per motivi diversi) un significato negativo. La giustificazione che egli dà non è però supportata da dati reali, almeno in Italia. Egli crede che non tutti nascano con lo stesso quoziente intellettivo e che, in prospettiva futura, la posizione sociale dell'individuo potrebbe essere determinata a seguito della valutazione delle capacità intellettive e l'impegno dello stesso -sul dizionario Treccani: "... le cariche pubbliche (secondo il principio di meritocrazia, ndr) dovrebbero essere affidate ai più meritevoli, ossia a coloro che mostrano di possedere in maggior misura intelligenza e capacità naturali, oltreché di impegnarsi nello studio e nel lavoro"-. Osservandoci attorno è facile però ribaltare questa strana idea di Young e infatti, anche quando il Q.I. risulta basso, non vi è la conseguente ed automatica emarginazione dai posti “di amministrazione” della società (solitamente è il contrario, le marionette non pensano, eppure occupano ruoli centrali nel teatrino...);

2) Avviene poi il primo ribaltamento e la “meritocrazia” assume un significato positivo, pertanto, in uno Stato buono, i ruoli sociali più importanti sono scelti “per merito”: se uno è “bravo" governa, se è "meno bravo" no. I giudici sono sempre i migliori dei migliori (amici dei buoni che diverranno migliori). I sostenitori di questa buffa teoria, fino ad oggi solo in ambito accademico, hanno già una cattedra garantita dal papà ambasciatore, onorevole o rettore (fra i figli di rettori non ce ne è uno tonto, il 90 per cento... diviene docente universitario…) chi, insomma, non sente la necessità di domandarsi come si può essere "bravi" nascendo in una famiglia di tre figli, coi genitori di disoccupati (o monoreddito) che non hanno la possibilità di mantenere prole o al contrario (ma questo valeva fino a quando il lavoro c'è stato per tutti) con padri e madri occupati per 24 ore al giorno per cercare di sbarcare il lunario, e che quindi non hanno la possibilità per star dietro ai bambini ugualmente. Ma sono sottigliezze, andiamo avanti e arriviamo ai giorni nostri.

3) Oggi la "meritocrazia", dopo aver trovato adepti fra i baroni accademici o aspiranti tali, sbarca tout-court nelle scuole e per insegnare... bisogna avere un ampio curriculum, quindi essere valutati da un preside (o viceversa, essere valutati da un preside ed avere un curriculum), magari un vicino di casa. A dirla tutta, questa buffonata dei curricula e della chiamata diretta è già stata ampiamente testata nella scuola pubblica con i PON lì, infatti, non vinceva sempre il “migliore”, poiché, a parità di competenze (talvolta inventate, in un PON si richiedeva addirittura una laurea in un corso inesistente in Italia), l'insegnamento andava a chi aveva già avuto esperienze precedenti (esperienza e competenza, principi cardine dell'idea di meritocrazia, per cui chi è fuori dal mondo del lavoro è destinato a rimanerci, poiché non avrà mai i requisiti richiesti). Ecco allora che la "meritocrazia" getta giù la maschera e mostra il suo lato peggiore: senza neppure bisogno di ricorrere alle farse dei concorsi universitari i presidi potranno assumere direttamente chi vogliono, secondo le proprie necessità. Per una supplenza? per un insegnamento? non è dato sapere, nulla è certo, se non che ciò che vogliono è che si vada a chiedere l'elemosina.

mercoledì 11 marzo 2015

La scrittura e la macchina ai tempi dell'uomo (di ieri, di oggi e) di domani

La scrittura e la macchina
ai tempi dell'uomo (di ieri, di oggi e) di domani

ci pensino i bancari che allo sportello avvisano il cliente
che c'è la macchina automatica per i versamenti...

Il computer a scuola per svolgere un tema d'italiano o tradurre una versione di latino
Di tanto in tanto mi domando cosa si veda di strano anche nella sola proposta di acconsentire all'utilizzo del computer a scuola per svolgere un compito in classe, magari discutere un tema di italiano o tradurre una versione di latino. Raramente, nella storia è stato il mezzo in sé a fare la differenza e, di certo, non l'ha mai fatto quanto l'abbia potuta fare l'umanità.
Una volta era vietata la calcolatrice se prima non s'imparava a conteggiare col pallottoliere, eppure oggi in pochi perdono tempo a far di conto a mano. Non gli studenti delle scuole medie, non gli scienziati; è, in un caso e nell'altro, più comoda e puntuale una calcolatrice. E nessuno per questo si lamenta.
Egual discorso dovrebbe valere nel rapporto fra computer e scrittura. La comodità sta, specificatamente, nell'evidenziatore automatico di parole non riconosciute e refusi e ripetizioni, nell'avere a portata di tasto destro di mouse suggerimenti, sinonimi, contrari e, ancora, nella possibilità di consultare l'immensa banca dati che è Internet che, se utilizzata come si deve, consente, avendone voglia e tempo, di scovare e riportare con precisione certosina autori e referenze bio-bibliografiche, facendo riferimento all'edizione principe. Ciò non toglie che bisogna prima studiare sull'abecedario che, come l'abaco per la matematica, è uno straordinario strumento che insegna a pensare (metodo), regalando umanità ad un procedimento altrimenti asettico nello sviluppo e nel risultato.
Il metodo (pensiero) allarga gli orizzonti e consente di scrutare oltre gli ordinari scenari che, per quanto riguarda il mondo della scrittura e del libro non si concludono nello scontro, fra l'altro già passato, fra i sostenitori del libro cartaceo e quelli del supporto digitale.

Quando la realtà supera la fantasia
In futuro la scrittura, intesa come conseguenza di un pensiero meditato e fissato su un supporto, svolgerà un ruolo sempre più marginale, e la tecnologia, rispondendo ad una ben precisa richiesta economica - la stessa che allunga la vita dell'uomo per spremerlo meglio - consentirà, con istantaneità, a "far rimanere" ciò che prima era destinato a "volare".
I lati positivi saranno tanti, soprattutto se pensiamo a chi oggi, per natura o per fato della vita, non ha facoltà di scrittura con gli arti.
Sarà affiancato, a questo processo di impressione sotto dettatura, un filtro (applicazione, programma) in grado di tradurre simultaneamente il nostro verbo, per cui se avessimo bisogno di comunicare un cinese, dovremo semplicemente prenderci la briga di parlare nella nostra lingua nativa. E viceversa.

Brain to paper. Ossia dal pensiero al supporto
Successivamente il parlare per scrivere sarà sostituito dalla trascrizione tramite impulsi cerebrali, e sarà il pensiero ad essere ridotto graficamente e, anche in questo caso, si avranno benefici indubbi in ambito medico.
Ma macchine e tecnologie diverranno di uso comune, per cui il gesto grafico verrà a mancare del tutto e l'inchiostro della penna (ammesso che qualche legge non ne limiti l'utilizzo prima, considerandolo inquinante o dannoso per la salute) non sarà più il sangue del cervello (cit. G. U.), ma si avrà un diretto passaggio dal cervello al supporto (ossia brain to paper).
Non è nostro compito dare una lettura positiva o meno di tali cambiamenti, che sono ineluttabili e irreversibili - e che fra l'altro si sono già realizzati con tempi più dilatati quando si è passati dall'incisione su pietra alla scrittura su papiro alla stampa a caratteri mobili al desktop publishing - ma una cosa, riguardo le ricadute sociali è prevedibile: avendo tutti la possibilità di fissare la loro parola in una qualsiasi lingua, si andrà verso un codice universale, con un vocabolario sempre più immediato e livellato.

Quale futuro (divagazioni sulle macchine e i potentati economici)
La semplificazione è conveniente per i grandi potentati economici che, oltre a lanciare un unico messaggio valido per tutti, potranno risparmiare investendo in macchine (e quindi meno manodopera, ci pensino i bancari che allo sportello avvisano il cliente che c'è la macchina automatica per i versamenti...). Nel mondo ci saranno sempre più spazi perché la popolazione è destinata a decrescere (non c'è lavoro, non si fanno figli) e quindi i pochissimi imporranno le loro regole sui pochi, creando lavoro selettivo e a basso costo.
Torniamo al discorso principale. In una prospettiva di codificazione unica si può intravvedere già da ora l'interdipendenza fra l'uomo (che abbasserà il proprio peso sociale) e la macchina (che pur restando ferma, invece, il proprio peso sociale lo alzerà).
Ci sarà così più tempo da re-investire… in lavoro a basso prezzo.

Paradossale il risultato
In un mondo digitale la macchina e l'uomo saranno pari. E la scrittura, intesa come conseguenza di un pensiero meditato e fissato su un supporto, si diceva, svolgerà un ruolo marginale.
Ma tutto ciò non deve rammaricare: anche domani (come oggi e come ieri), ma in un mondo forse un po' più "piatto", a fare la differenza non sarà il mezzo ma ciò che il risultato finale riuscirà a trasmettere in termini di umanità.

Un paragone architettonico
Un paragone architettonico si potrebbe azzardare: ciò che resta non sono i prefabbricati abruzzesi, ma i templi della Valle in Sicilia, il Partenone di Atene, il Colosseo di Roma e le chiese e le moschee. Tutto ciò che insomma trasuda modi di lodare e di vivere, pensiero e fatica.
A prescindere dal mezzo.

Quesito
La domanda non è "come hanno fatto a costruirlo?" ma "come hanno fatto a pensarlo?".

Il supporto avrà la sua importanza
E il supporto? Anche quello avrà la sua importanza. Il libro cartaceo diverrà raro. Cominciate a collezionarlo ed a custodirlo come si deve. Per il bene dei vostri pronipoti. Per rispetto verso i vostri avi.


Spero sia stato comprensibile. Lecce, 11/03/2015